| Categoria: Librogame E.L. - Serie Complete Fire*Wolf
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Titolo: Fire*Wolf | Valutazione: 4.67 Letture:3449 | J.H. Brennan | Una gomma, una matita, un paio di dadi e tanta audacia: solo di questo hai bisogno per dare inizio a un’indimenticabile avventura in un terra popolata da barbari coraggiosi, maghi potenti ed invincibili demoni.
In questo libro il protagonista sei tu. Buona fortuna, Fire*Wolf! |
Valutazione media:
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(1)
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(10)
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Data pubblicazione 30/1/2007
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Inviata da: Gurgaz il 30/1/2007 |
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Valutazione generale:
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4
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Titolo originale: Sagas of the Demonspawn Autore: J.H. Brennan Copertine: Peter Andrew Jones
La serie Fire*Wolf fu edita in Italia solo nel 1992, sebbene fosse stata scritta da Brennan di pari passo con Alla Corte di Re Artù, tra il 1984 e il 1985. Oserei dire che è stata scritta anche prima, visto l’utilizzo del paragrafo 13 per la morte, un numero più in linea con le superstizioni anglosassoni. I motivi di questo prolungato rinvio vanno cercati prima nello stile, quindi nel sistema di gioco che caratterizza questi librogame. Non c’è dubbio che i destinatari delle “Saghe della Stirpe dei Demoni” siano persone dai 13 anni in su, visti i temi trattati (non ultima la sensualità, garbata ma sempre presente), la lunghezza dei paragrafi e la difficoltà pazzesca di alcuni enigmi. Per quanto riguarda il regolamento, la complessità delle meccaniche rende la serie poco appetibile per dei ragazzini. Purtroppo, dopo un esame approfondito si deve concludere che il sistema proposto da Brennan per Fire*Wolf è la trovata più umoristica del faceto autore britannico, poiché è completamente inefficiente, ambiguo, prolisso, sbilanciato ed inapplicabile per chiunque possieda un po’ di sale in zucca. Giacché vesto i panni del play-tester, mi sono preso la briga di giocare questa serie barando il meno possibile, per avere una visione chiara dei fatti.
Brennan vuole farci giocare un “romanzo di partecipazione”, il che significa che non vestiremo i panni dell’eroe nel vero senso della parola, ma ne influenzeremo il destino con il nostro intuito ed i tiri di dado. La serie è scritta in terza persona e al passato, come se si trattasse di un vero romanzo. Ciascun libro è diviso in nuclei tematici, assimilabili ai capitoli, che costituiscono dei punti di non ritorno. Se da un lato questo espediente fa perdere al testo la consueta immediatezza, dall’altro permette a Brennan di sfoggiare una prosa di gran classe, di inserire descrizioni poetiche e di sviluppare i personaggi, come di solito non avviene nei librogame. Pertanto, Fire*Wolf costituisce un esperimento interessantissimo in questo ambito letterario.
La storia è senza dubbio una delle più avvincenti e ben scritte, almeno tra quelle reperibili nei librogame. Il protagonista è il barbaro Fire*Wolf (il cui nome non fu tradotto per non creare un doppione inopportuno del più fortunato Lupo Solitario), esiliato dal suo villaggio nelle Terre Selvagge per aver messo le mani sulla cupida ma troppo giovane figlia del capo. Il suo destino lo porterà a ritrovare una misteriosa spada demoniaca ed a scoprire le proprie origini, ma nel contempo sarà incaricato di salvare il regno di Harn dalla Stirpe dei Demoni. Questi esseri abominevoli e portatori di distruzione furono creati in epoche remote e periodicamente ricompaiono per devastare le terre civili. Basteranno il coraggio e l’intelligenza di Fire*Wolf, uniti alla potenza della Spada del Destino, a portare a termine un incarico di tali proporzioni?
La risposta è NO, nel modo più assoluto. Per giustificarla, occorre prendere in esame il regolamento. Fire*Wolf dispone di sette caratteristiche: FORZA, VELOCITÀ, RESISTENZA, CORAGGIO, FORTUNA, CARISMA, FASCINO; ciascuna è determinata lanciando 2d6 e moltiplicando per 8. La somma di tutte queste si traduce in PUNTI DI VITA, che quindi sono centinaia. Per combattere, si deve lanciare un numero pari o superiore a 7; il danno si calcola moltiplicando per 10 i punti in eccesso e sommando i bonus dovuti a FORZA ed armi. Per ogni combattimento vinto, si aumenta di un punto un’altra caratteristica, l’ABILITÀ, ed ogni 10 punti si può abbassare di 1 il valore necessario a colpire. Parrebbe tutto semplice e chiaro, ma basta affrontare il primo combattimento per capire che nemmeno l’autore sa che cosa ha scritto. Il primo nemico ha ABILITÀ 40! Colpisce con 3! Se fosse un caso unico, sarebbe anche tollerabile, ma il problema è che tutti gli avversari della serie hanno un valore di ABILITÀ esorbitante, che gli permette di colpire automaticamente e di infliggere una caterva di danni. Se si è abbastanza fortunati da sopravvivere fino al ritrovamento della Spada del Destino, grazie ad essa le probabilità di vincere aumentano abbastanza, perché consente di assorbire i PUNTI DI VITA dell’avversario e di trasferirli su Fire*Wolf. Purtroppo, dopo il primo libro della serie il testo ci priva sempre più spesso dei poteri della spada (quando non ce li rivolta contro!) e allora non si sa a che santo votarsi. Ci sarebbe la magia, gestita con il punteggio di POTERE, ma siccome Fire*Wolf non è mago per vocazione, bensì per necessità, ogni volta che il giocatore vuole utilizzare gli incantesimi deve ottenere meno di 4 con 2d6 per vincere le riluttanze del protagonista. Secondo me è un errore: andava tirato 1d6. Almeno le magie fossero decisive; la maggioranza di esse hanno effetti risibili, oppure richiedono lanci improponibili. Indovinate quante volte ho potuto usare la magia in 4 librogame: zero, nihilus ad victor!
Un rimedio all’esorbitante quantità di avversari ferocissimi, affrontati di volta in volta con nuove ed entusiasmanti penalità (come se non bastassero gli squilibri naturali del regolamento), è costituito da alcuni oggetti magici dal potere inaudito, come la Ragnatela Magica che imprigiona senza fallo un avversario con FORZA minore o uguale a 150 (cioè, qualunque avversario della serie). Brennan non dà alcuna indicazione a riguardo, perciò mi sono permesso di conservare gli oggetti tra un librogame e l’altro. Il guaio è che ci sono certi combattimenti con tanti avversari che nemmeno la Ragnatela è in grado di facilitare...
Cosa manca per rendere questa serie ancor più frustrante ed ingiocabile? Ma una miriade di tiri di dado impossibili, naturalmente. Se nei primi due libri pare vigere la regola del check (fai 3 tiri sotto il valore di una certa caratteristica, oppure schiatta), negli ultimi due Brennan escogita un nuovo meccanismo: “getta i dadi e per ogni 10 punti della caratteristica X superiori a 50 somma 1 al risultato; devi ottenere almeno 12”. E questo anche per 3 volte di seguito, pena la morte. Nella migliore delle ipotesi, ciò comporta un lancio di 8 o più ai dadi per 3 tiri consecutivi e ciò va fatto più volte nel corso dell’avventura. Non stupitevi se nelle recensioni singole ho connotato la difficoltà come “impossibile”!
Ultima nota dolente, ma forse la più grave di tutte: questa serie manca d’interattività. Ci sono troppi passaggi obbligati, troppe forzature da parte dell’autore su un percorso prefissato. L’impressione è che la saga di Fire*Wolf sia già stata scritta e che il giocatore debba intuire come essa si svolge. Di solito, andare fuori dai binari implica combattimenti aggiuntivi, pericoli evitabili e perdita di tempo con paragrafi inutili.
Ora è facile intuire che le pregevoli caratteristiche letterarie di Fire*Wolf restano inesorabilmente schiacciate sotto l’ampia mole dei difetti del sistema di gioco. Potete provare a personalizzare il regolamento, oppure a giocare la serie con un personaggio a caratteristiche massime; prima o poi salterà fuori l’ostacolo insormontabile anche per voi. Un librogame che non si può giocare è un fallimento completo, un’opera realizzata senza criterio e senza rispetto nei confronti del potenziale lettore. Il primo episodio e parte del secondo possono essere completati dopo un paio di pazienti tentativi, a patto di aver generato un personaggio di buone caratteristiche. Il terzo ed il quarto sono pura follia.
La serie è costituita dai seguenti titoli:
1) Il Barbaro Ribelle 2) Le Cripte del Terrore 3) Nel Regno dei Demoni 4) Le Radici del Male
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Inviata da: kingfede1985 il 18/4/2007 |
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Valutazione generale:
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5
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Avendo letto la recensione alla serie di Gurgaz (e per chi non l'ha fatto consiglio caldamente di leggerla) è venuta anche a me la voglia di dire la mia su questa serie che, per molti versi, è la più... anomala. Già, perché a mio avviso la storia è semplicemente stupenda, la migliore fra tutte le serie fantasy (a parte forse Lupo Solitario, ma quella ha 30 volumi o giù di lì). Il protagonista affronta nelle prime due opere un lungo viaggio sia a livello fisico, dalle Terre Selvaggie a Harn e poi a Kaandor, sia soprattutto a livello psicologico e morale, poiché è costretto ad accettare il suo status di lord e mago acquisito in eredità dal padre. Nei lunghi paragrafi del primo volume, "Il barbaro ribelle" si hanno i punti migliori della serie, eguagliati forse solo nel finale dell'ultimo volume, "le radici del male", compreso l'epilogo. Il terzo e il quarto episodio della saga, che seguono le vicende della prima coppia di 10 anni, sono molto più turbolenti, il braccio (anzi, la spada) supera di gran lunga il cervello. Invece, a livello di giocabilità ci si trova al limite della schizofrenia. La costruzione del personaggio è carina, o se non altro originale, e permette di avere di fronte un protagonista un po' più "a tutto tondo", un ROUND CHARACTER, come direbbero i critici letterari americani, e il fatto che il lettore non sia virtualmente il protagonista, ma solo una sorta di "mano del destino", è geniale. Ma le regole sono semplicemente assurde. Verrebbe da pensare che Brennan abbia progettato la serie con in mano dei dadi truccati! Troppo spesso si ha bisogno di lanci di dadi altissimi per cavarsi d'impiccio, a alla fine di "le radici del male" si scopre addirittura di aver bisogno di un totale di PUNTI DI VITA potenziali superiore al 600, una cosa paurosa, roba che neanche Gastone Paperone in persona con in mano un ferro di cavallo e al collo una collana di peperoncino saprebbe raggiungere (sempre che non si tenga conto di quella specie di trasformazione di Fire*Wolf in "Super Sayan" di fronte alla morte, ma non credo sia valida, anche se aggiusterebbe tutto...). Le vere pecche a livello di regolamento sono due: l'ABILITA' e la MAGIA. È troppo poco concedere un 4 o meno in un doppio lancio di dadi per permettere di usare una qualsivoglia magia! L'ABILITA' invece dovrebbe aggiustare leggermente le possibilità di colpire ed essere colpito in combattimento, ma, essendo troppo lenta da accumulare e troppo alta negli avversari trasforma ogni combattimento in una serie di legnate in testa al nostro povero barbaro-mago. L'unica maniera per rendere giocabile la serie è riaggiustare le regole. Io negli ultimi anni mi sono sempre regolato così:
a) per lanciare magie bisogna fare MENO DI 6 lanciando due dadi. b) -1 ai dadi per colpire ogni 10 punti di ABILITA' miei, mentre per gli avversari ne servono 20. c) nel quarto volume tengo buone le caratteristiche che Fire*Wolf assume al par. 185, di fronte alla Morte.
Lo so che è un po' losco, ma così almeno con un po' di fortuna riesco a finire "le radici del male"... che evidentemente stanno a significare i pensieri sadicamente diabolici che Brennan aveva quando ideava il libro, non mi spiego altrimenti questo regolamento perverso!
Per concludere, Fire*Wolf è una serie che o si ama, o si odia. Se vi interessa solo godervi una bela storia, e non vi fate troppi problemi a scavalcare il regolamento, questa è la serie perfetta per ogni appassionato di fantasy. Se volete a tutti i costi giocare onestamente e seguire alla lettera tutte le regole, allora lasciate perdere in partenza... Ciao!
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Inviata da: EGO il 19/5/2008 |
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Valutazione generale:
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5
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Le Sagas of the Demonspawn sono la prima serie di libri-gioco pubblicata da J.H. Brennan, a partire dal 1984. In Inghilterra la collana procede praticamente in parallelo con Alla corte di Re Artù, eppure, nonostante lo sviluppo in contemporanea, è nettissima la differenza di maturità, di impostazione e di intenti tra le due saghe. Demonspawn è decisamente più grezza sotto il profilo del gioco, che si riallaccia ancora molto al GdR classico a cui l’autore ammicca ripetutamente, ma dal punto di vista narrativo è estremamente più affascinante, complessa e innovativa. Dall’altra parte, le avventure del prode Pip non hanno le stesse ambizioni letterarie, ma offrono un prodotto nettamente più fruibile, maturo e completo, e soprattutto più divertente. E’ sicuramente per questo che, in Italia, Demonspawn è arrivata come ultima opera di Brennan, dopo la fine di Re Artù, per spremere ancora un po’ gli appassionati a cui viene offerto un prodotto raffazzonato in fretta e furia, uno scempio che nella collana librogame non ha eguali.
Il titolo italiano è Fire*Wolf, dal nome del suo protagonista. Costui è cresciuto coi barbari, crede di essere un barbaro, ma non lo è: in lui scorre il sangue di maghi, e sebbene sia un tipo semplice e timoroso dell’occulto, si ritrova suo malgrado a vestire il ruolo di Messia del regno di Harn contro una minaccia millenaria, la Stirpe dei Demoni. Queste creature, evocate da un’antica magia, con la magia vanno combattute, e saranno l’avversario principale del nostro eroe lungo la Saga che in inglese porta il loro nome. Accanto a Fire*Wolf c’è la presenza costante della Spada del Destino, un’arma che racchiude un potente demone, in grado di assorbire l’energia vitale delle sue vittime.
La particolarità di Fire*Wolf è che la storia è narrata in terza persona, al passato remoto, come in un vero romanzo; non per niente Brennan inizialmente chiamò questo prodotto “romanzo di partecipazione”, in un preambolo eliminato nell’edizione E.Elle. Solo alla fine di ogni sezione l’autore si rivolge direttamente al giocatore, invitandolo a compiere le scelte del caso con la sua solita, irresistibile verve; se Alla corte di Re Artù ha uno humor devastante, Fire*Wolf non è da meno. L’umorismo è una carta che Brennan sa giocare meglio di tutti gli altri autori, e oltre alle solite macchiette come gnomi e valligiani che ben conosce chi è stato Cavaliere della Rotonda Tavola, qui pullulano anche allusioni sessuali per nulla velate: Fire*Wolf è spesso alle prese con qualche donzella, tra l’altro di solito ben disposta e consenziente, al punto che tutta la sua storia prende il via da un affaire di questo tipo. Non c’è solo ironia, si badi: il testo raggiunge livelli di atmosfera e di poesia che gettano nell’abisso del dilettantismo l’intera produzione di genere coeva, nonché molta di quella successiva. I primi due volumi sono particolarmente ispirati sotto questo aspetto, ma i due successivi, pur risentendo di una maggiore stringatezza probabilmente derivata da Grailquest, non si risparmiano dei momenti di gloria.
E così, finché si tratta di leggere, Fire*Wolf regala sorrisi, emozioni, soddisfazioni. Quando si passa al gioco, però, il regolamento di Fire*Wolf fa acqua. Molta.
Togliamo innanzitutto qualche colpa dalle spalle dell’autore. E’ doveroso, perché l’errore più mastodontico, che leva qualsiasi parvenza di serietà alla serie, esiste solo nell’edizione italiana. Secondo i traduttori, Fire*Wolf non può usare l’indispensabile magia se, nel paragrafo corrente, ottiene 4 o più tirando due dadi. Conoscendo Re Artù, tutti hanno dato per scontato che fosse l’ennesima sparata di Brennan. E invece no! Perché il povero Fire*Wolf, con 4 o più ai dadi, la magia la usa, eccome! La persona che gliel’ha impedito è Laura Pelaschiar, qui autrice della sua gaffe più madornale e inescusabile, un errore di traduzione che da solo ha rovinato la giocabilità dell’intera serie. Altrettanta infamia grava sul capo di chi l’ha poi sostituita, perché invece di accorgersi dell’errore e di correggerlo, si è pensato bene di copincollarlo in tutti i volumi successivi. E non è nemmeno l’unico errore di questo tipo nella traduzione di Fire*Wolf, il che la dice molto lunga sulla scarsa professionalità e cura applicate nella realizzazione dei librogame E.Elle negli anni Novanta.
Tuttavia Brennan ha le sue colpe, e la principale, come sempre, è l’indeterminatezza delle regole, la loro incoerenza con le situazioni proposte dal testo; in questo caso, poi, i punteggi eccezionalmente pesanti aumentano il disagio. I combattimenti in Fire*Wolf sono molto lunghi e implicano calcoli faticosi, a causa delle centinaia di Punti di Vita posseduti dai duellanti; centinaia, perché derivanti dalla somma di sette caratteristiche, ciascuna pari a 2D6x8 (range 16-96). A questi sette si aggiunge poi un altro punteggio, l’Abilità, che cresce di 1 ad ogni avversario sconfitto. Per colpire bisogna fare almeno 7, ma per ogni 10 punti di Abilità questa cifra cala di 1. Però alcuni nemici hanno anche Abilità 100! E’ ovvio che qualcosa non torna. Derivata da Re Artù, la mia personale soluzione è questa: il numero minimo per colpire è 5, a meno che il combattente non abbia almeno 72 punti di Fortuna, nel qual caso colpisce con 4. Anche il più esperto guerriero deve poter fallire un colpo! Oltretutto, in questo modo il Fire*Wolf medio infligge, facendo 12, un danno intorno ai 100 punti, che è sicuramente adeguato ai punteggi in gioco.
Mi rendo conto di applicare regole che non stanno scritte da nessuna parte; ma così, e con la giusta regola di uso della magia, Fire*Wolf è giocabile, e non obbliga a barare (o, più semplicemente, a ignorare il gioco del tutto). E’ già qualcosa. Purtroppo, man mano che i volumi si susseguono è sempre più chiaro come Brennan dia per scontato che il lettore si sia giocato tutta la collana dall’inizio. Le sviste, le dimenticanze, le semplificazioni, i mancati adattamenti delle regole alle specifiche di ciascun volume impediscono de facto di giocare i libri successivi al primo come stand-alone; pertanto, chi vuole giocare Fire*Wolf sappia che deve farlo da zero. Non c’è altro modo di finirlo onestamente, e non sarà comunque una passeggiata: la difficoltà è altissima, vuoi per i numerosi combattimenti in condizioni sempre più disperate, vuoi per le infide prove di punteggio, vuoi per certi enigmi che neanche la Sfinge, vuoi per l’innata tendenza di Brennan a mettere trappole e morti istantanee ovunque. Ma si può fare.
Dico tutto questo perché mi sembra corretto valutare la collana sulla base della possibilità di giocarla; seguendo le istruzioni così come sono scritte, Fire*Wolf non sarebbe nemmeno recensibile, in quanto non giocabile. Interpretata come ho descritto, invece, funziona, pur rimanendo molto limitata. E’ infatti una serie conflittuale, in cui inizialmente il racconto fagocita quasi del tutto il gioco, poi sembra che ci sia un ripensamento e di colpo il testo si raggrinzisce per lasciar spazio a infinite stringhe di combattimenti. In tutti i casi, la libertà di scelta è quasi inesistente, perché la narrazione non ammette deviazioni, e le punisce subito con la morte del protagonista. E’ un true path mascherato in modo un po’ diverso dal solito, ma ugualmente irritante.
Come mai, mentre Alla corte di Re Artù cresceva e raggiungeva il suo apice, Fire*Wolf si deteriorava dal già confuso progetto iniziale? Forse perché Brennan, pur accorgendosi che le cose non funzionavano, ebbe l’occasione di concludere comunque la saga, e la sfruttò, se non altro per amore della magnifica storia. La quale rimane la parte migliore di questi libri, e l’unico vero motivo per leggerli. Il gioco vero e proprio può offrire qualche interesse, qualche sfida, ma non raggiunge mai la soglia minima del divertimento, e dopo un po’ diventa più un obbligo che altro, per chi si sente in dovere di rispettarlo.
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