Sabbie roventi, tombe maledette, misteriosi geroglifici da cui si sprigionano arcane potenze, l’allegria chiassosa dei mercati di Tebe, la calma bellezza delle acque del Nilo... Ecco lo scenario di un’avventura vissuta nell’antico Egitto, sullo sfondo del conflitto tra gli antichi dei e il culto di Aton, il dio del sole.
Titolo originale: L’Œil du Sphinx Autori: Doug Headline e Dominique Monrocq Anno: 1985 Illustrazioni: D’Erik Juszezak Traduzione italiana: Francesca Gregoratti (1989)
Fonte d’ispirazione: Amenhophis IV (1366-1349 A.C.) fu uno dei faraoni più importanti, perché introdusse in Egitto una riforma artistica e religiosa, che comprendeva l’imposizione di un culto monoteistico. Egli concepì una singola intelligenza superiore a tutti gli esseri e agli altri dei, che identificò nel dio solare Aton, in onore del quale cambiò il proprio nome in Akhenaton. Nonostante l’opposizione dei sacerdoti di Amon-Ra, la divinità più popolare, il faraone decise di abolire sistematicamente l’adorazione di tutti gli dei all’infuori di Aton. La sua inclinazione verso il pensiero e la spiritualità lo portarono a trascurare l’impero e il suo regno segnò l’inizio del declino della potenza egizia. La perdita di molti territori asiatici in favore degli Ittiti e le riforme religiose gli alienarono la simpatia del suo popolo. Alla morte di Akhenaton, tutte le sue innovazioni artistiche e religiose furono abolite per iniziativa dei sacerdoti di Amon-Ra, con il beneplacito del successore Tutankhamen.
Il Prete Gianni approda in Egitto durante un’epoca di tumulti religiosi, dove i sacerdoti degli dei tradizionali sono perseguitati dalle guardie del Faraone Akhenaton. Quale situazione peggiore per mettersi alla ricerca di Antarsis, sacerdote di Osiride? Questa terra misteriosa, costellata di tombe, deserti e templi colossali, viene arricchita con apporti fantasy perfettamente azzeccati, che la trasformano in uno dei più affascinanti scenari d’avventura dei librogame.
Dopo un prologo al mercato di Tebe, il nostro eroe si deve intrufolare nel tempio di Amon-Ra a Karnak e liberare dei sacerdoti prigionieri. Il venerabile Sephreti lo indirizza sulle tracce di due alti sacerdoti di Osiride, uno dei quali è certamente Antarsis. A questo punto, si può scegliere di unirsi ad una carovana diretta verso Giza e la Quarta Piramide, oppure partire alla volta di Antinopoli e cercare la perduta tomba di Hatscepsut. Entrambi i percorsi permettono di concludere il libro e sono ricchissimi di begli incontri, di combattimenti e preziosi tesori.
L’Occhio della Sfinge è scritto in maniera diretta ed accattivante. La fantasia degli autori pare inesauribile e c’è spazio per ogni possibile avversario, trabocchetto e personaggio singolare, il tutto in perfetta armonia con l’ambientazione. I disegni che ornano le pagine sono i migliori della serie, realistici e di squisita fattura.
La sterminata sequela di pregi è intaccata da un piccolo neo: il librogame è troppo agevole da terminare. Ci sono trappole e pericoli, ma è molto facile trovare il modo di eluderli; ciò costringe pure a saltare parti meritevoli, come la mitica Testa senza Corpo nella tomba di Hatscepsut. Nonostante la mancanza di vere sfide (fa eccezione l’Uomo Serpente), il librogame è piacevolissimo da leggere e da esplorare in lungo e in largo (vedi paragrafo 332). A conti fatti, è il miglior capitolo della serie. Da segnalare un curioso errore, per cui è impossibile conservare il prezioso Occhio dalla Doppia Vista, trovato pochi paragrafi prima, ma che più avanti è possibile utilizzare. Poco importa, perché anche stavolta si perdono tutti gli oggetti magici a fine libro. Il guaio è che sono tanti e maledettamente potenti!
Ambientazione: 10 Stile di scrittura: 9 Bilanciamento: 7 Interattività: 9 Aspetto grafico: 10
Proiettato nel passato dagli incantesimi del Vecchio della Montagna, il Prete Gianni si ritrova nell’Egitto dominato dal faraone Amenophis IV Akenathon, alla ricerca del sacerdote Antarsis, che potrebbe conoscere la strada per Shangri-La. Sfortunatamente il faraone ha abolito ogni culto che non sia quello del disco solare, e i sacerdoti degli altri dèi sono stati catturati o si sono rifugiati in luoghi ben nascosti e molto pericolosi. Dobbiamo quindi correre una gara contro il tempo, prima che i soldati del faraone trovino Antarsis e possano giustiziarlo!
L’occhio della Sfinge è l’episodio di Misteri d’Oriente che più di tutti ha dalla sua il fascino e la coerenza dell’ambientazione. L’Egitto dei faraoni è sempre un setting estremamente potente, e il fatto che sia al tempo stesso conoscibile e misterioso contribuisce al gioco degli autori francesi, che non rischiano troppo nel mescolarvi una giusta dose di elementi fantasy. Ecco quindi confezionata un’avventura che, a differenza della precedente (e delle successive), è credibile oltre che bella e ottimamente giocabile. Il Prete Gianni può cercare Antarsis seguendo due strade: una passa per la pericolosa Tomba di Hatscepsut, l’altra attraversa il deserto assieme a una carovana. Entrambe hanno come destinazione finale la Quarta Piramide (Tronca) di Gizeh, ultimo nascondiglio del sacerdote fuggiasco, ed entrambe offrono un nutrito campionario di sfide e meraviglie.
Anche lo stile di scrittura degli autori sembra qui trovare modo di realizzarsi appieno, e descrizioni, dialoghi ed eventi si rivelano perfettamente azzeccati. Alcuni momenti hanno davvero del sublime, i paragrafi di morte sono talmente spettacolari che dispiace doverli evitare (impressionanti quelli del sarcofago e del Drappo Spettrale), e il finale trasmette un magnifico senso di pace, di emozione, di compiutezza, pur essendo a sua volta un nuovo inizio. Gli ambienti esplorabili sono assolutamente coerenti e non sembrano mai dei generici dungeon, e non c’è una creatura che dia l’impressione di esser fuori posto. A completare lo sfondo della storia ci sono i disegni, belli e appropriati sia quando sono a tutta pagina che quando servono solo a riempire i vuoti tra un paragrafo e l’altro.
Lo svolgimento dell’avventura è un po’ più guidato che nel Vecchio della Montagna: le due strade, comunque le si approcci, non possono fare a meno di attraversare alcune tappe obbligate. C’è comunque una notevole libertà di esplorazione, e l’armamentario magico reperibile è sullo stesso livello di quanto visto nel libro precedente; tutto è utilizzabile, a parte l’Occhio dalla Doppia Vista che, misteriosamente, si rompe poco dopo averlo trovato, pur essendo utilizzabile più in seguito. Non si tratta di un’avventura difficile, tutt’altro: visti i requisiti minimi di Forza che la serie richiede, i duelli nell’Occhio della Sfinge sono fin troppo semplici, e la maggior parte dei nemici può solo sperare nel Giudizio di Dio per batterci. Le trappole, eccetto forse una o due molto repentine e brutali, non possono realisticamente impensierire il lettore, perché gli indizi per evitarle sono numerosi e facilmente trovabili; per cacciarsi nei guai peggiori bisogna proprio volerlo. Nella parte finale del libro si trovano, ancora una volta, le insidie maggiori: una trappola che può terminare l’avventura di punto in bianco, un enigma di non facile risoluzione e un giochetto numerico degno di Steve Jackson.
Segnaliamo alcuni errori. Il finale del Vecchio della Montagna lasciava intendere che si conservasse solo la spada, eppure all’inizio del volume 2 vengono chiamati in causa l’oro e i pasti. In alcuni combattimenti viene detto “perdi il primo assalto”, ma che cosa vuol dire esattamente? Forse che l’avversario tira solo lui i dadi e la sua Forza d’Attacco va comparata con la nostra Forza base? E’ probabile, ma non è specificato. Due errori di traduzione: il 197 dovrebbe rimandare al 336, che è sempre un paragrafo di morte ma non è quella simpatica burla che è invece il 332. Una questione più pratica è al 417: qui il verbo giusto non è “vuoi”, ma “devi” dirigerti verso la Piramide, *se* hai ricevuto istruzioni in merito. Altrimenti si evita bellamente l’insidioso enigma di cui sopra.
L’occhio della Sfinge è davvero uno dei volumi più riusciti di Misteri d’Oriente. Narrativamente è impeccabile: molto più serio e d’atmosfera degli altri, benché non manchino naturalmente i momenti ilari (come il fabbricante di sarcofaghi chiamato Khes’Enbuah, che in francese suona come “caisse en bois”, cassa di legno), e la sospensione dell’incredulità non si spezza mai. Ludicamente è un librogame senz’altro difetto se non quello della sua notevole facilità, che riduce un po’ la sensazione di sfida che ci vorrebbe da un’impresa fantastica come quella proposta. Non un vero e proprio classico, insomma, ma ugualmente un’offerta a cui non è saggio dire di no.