| Categoria: Librogame Stranieri Fighting Fantasy
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Titolo: 63 - Stormslayer | Valutazione: 8.00 Letture:1766 | Jonathan Green | Forze oscure sono all'opera nel regno di Femphrey. Una magia più spaventosa di qualunque altra tu abbia mai visto ha scatenato il potere distruttivo della Natura. In lotta contro il tempo, dovrai scoprire antiche verità sulla natura degli elementi. Solo allora potrai comandare la terra, l'aria, il fuoco e l'acqua e addentrarti nel terrificante occhio del ciclone. |
Valutazione media:
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(1)
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Data pubblicazione 9/10/2009
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Inviata da: EGO il 14/10/2009 |
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Valutazione generale:
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8
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2009. Dopo l’ultimo, eccellente inedito (Howl of the Werewolf) e due anni di silenzio, l’editore Wizard riprende le pubblicazioni di Fighting Fantasy... da capo. Con le stesse ristampe proposte nell’edizione precedente, ma una nuova veste grafica. E per meglio invogliare all’acquisto, tra i primi quattro numeri inserisce una novità: Stormslayer, nuova opera di Jonathan Green. Riuscirà a mantenere le innovazioni di gioco e l’eccellenza raggiunte dal suo lavoro precedente?
Conviene dire subito che la risposta è no; il perché, lo vedremo per strada. Nel frattempo diciamo che il protagonista di Stormslayer viene chiamato l’Eroe di Tannatown, ma è sempre il solito guerriero “a noleggio”, a riposo tra un’avventura e l’altra. Mentre si trova a Vastarin, nel regno di Femphrey, all’improvviso scoppia una tempesta violentissima, innaturale; nel resto del regno, intanto, gli elementi si stanno comportando in modo altrettanto anomalo, provocando siccità, alluvioni, terremoti. Le indagini, per la verità piuttosto brevi, faranno emergere il nome di un mago rinnegato, che ha catturato quattro Elementali e ne sta usando i poteri a proprio piacimento per vendicarsi del regno che non ha voluto riconoscere il suo genio. Dall’alto dei cieli, a bordo della sua nave volante, il mago sembra in grado di poter portare morte e distruzione ovunque, senza che nessuno possa fermarlo. L’unico modo per opporglisi è quello di trovare i mezzi per sopraffare il potere degli Elementali, e tali mezzi sono custoditi nei luoghi dove il potere degli elementi è più forte: in mare, nelle viscere della terra, in un vulcano e sulle pianure ventose. Questa è la missione che il nostro Eroe prenderà sulle sue spalle.
Il sistema di gioco, dopo la fortunata eccezione di Howl of the Werewolf, torna alla tradizione: i punteggi sono i soliti, le regole le stesse. Ciò che cambia profondamente è la struttura della missione: non più un’avventura lineare a true path, bensì una libertà di movimento e d’esplorazione finora vista solo nei libri di Keith Martin, e mai a questi livelli. Le quattro tappe della ricerca possono essere affrontate nell’ordine che si preferisce, senza obblighi o ripercussioni: alcuni oggetti trovati in un luogo possono tornare anche molto utili in un altro, ma non c’è quasi niente che non si possa fare superando una prova di Abilità, Resistenza o Fortuna. Tuttavia c’è un razionale dietro alla scelta dell’itinerario, grazie ad una serie di piccoli accorgimenti che permettono di giocare molte partite tutte diverse. Innanzitutto, all’inizio del gioco viene stabilito, tramite tiro di dado, in che giorno della settimana ci troviamo, e durante il viaggio i giorni continueranno a susseguirsi. Poiché ogni giorno è dedicato a un elemento, il fattore «tempo» diventa un fattore «campo», influenzando la forza delle creature affrontate. Dunque, nel giorno dedicato al mare i nemici idrici sono più potenti, ma quelli di fuoco sono indeboliti; si può pertanto cercare di arrivare in ciascun luogo nel giorno più adatto per affrontarlo, per usufruire dei possibili bonus. Questo però è un calcolo azzardato e poco fruttuoso: molto più interessante è invece il fatto che, in base al punto di partenza, andando verso la stessa destinazione assisteremo a eventi diversi. Se decidiamo di andare al vulcano, dunque, succederanno cose diverse a seconda che siamo partiti dalla montagna o dal mare. Queste differenze sono veramente significative, e scoprirle tutte è il segreto della longevità del libro. Le singole locazioni, in effetti, non sono particolarmente ampie né sviluppate in modo originale; tuttavia questi 400 paragrafi racchiudono una marea di cose da fare, perché, come è tipico nei libri di Green, i paragrafi senza almeno due opzioni alla fine sono molto rari, e ognuno ha la sua dose di combattimenti, trappole, fughe, acrobazie e tesori che non lasciano ai dadi il tempo di raffreddarsi. In effetti, considerata la sua semplicità di fondo, Stormslayer è quasi incredibile per la ricchezza di contenuto, e la cura dei dettagli non è da meno. Per stimolare ulteriormente il giocatore non mancano naturalmente numeri da aggiungere o sottrarre, parole da trasformare in numeri, numeri associati a oggetti, e parole d’ordine (queste ultime sono ancora, banalmente, parole scritte al contrario: è un’idea pigra, che rivela facilmente i segreti che vorrebbe celare. Il sistema di parole in codice di Dave Morris è un espediente semplice ed efficace che, stranamente, Green non vuol prendere in considerazione).
Man mano che si impara a conoscere le quattro locazioni principali e si riesce ad affrontarle nel migliore dei modi, però, l’entusiasmo iniziale comincia a scemare. Ci si accorge che in realtà le singole missioni sono brevi e di respiro limitato, mentre la parte finale, a bordo della nave del mago, ritorna all’antico, proponendo stanze visitabili una volta sola e che prevedono però di eseguire alcune azioni secondo una precisa sequenza. È ridicolo non poter tornare ad utilizzare un codice se lo si è scoperto dopo aver trovato il luogo dove usarlo, però purtroppo le cose funzionano così; e poi, prevedibilmente, lo scontro finale richiede o Abilità 11 o 12, o di aver trovato tutti gli oggetti e le informazioni possibili. Non deludente ma proprio infame è, ancora, il terzultimo paragrafo: il lettore attento può prevedere la situazione molto prima di arrivarci, ma non è comunque detto che possieda i mezzi per affrontarla ed evitare di morire a missione compiuta.
Queste cose sono tanto più fastidiose per il senso di ineluttabilità che le accompagna: quando si capisce che Green ha del tutto rinunciato alle innovazioni viste nel suo libro precedente, infatti, chi ha letto tutti i libri dell’autore ha ottime ragioni per pensare che, prima o poi, si ricadrà nei vecchi vizietti; e non sbaglia. Stormslayer dunque, come accadeva soprattutto coi libri di Keith Martin, inizia molto bene ma costruisce una base troppo grossa sotto ad un vertice molto piccolo; offre molta libertà di movimento, ma alla fine ti chiede conto di una lunga serie di azioni che non è facile aver compiuto tutte in una volta. Si arriva alla fine dell’avventura – peraltro quasi troppo lunga da terminare in una sola sessione – molto stanchi, col desiderio di farla finita; e il libro riflette questa stanchezza con un anticlimax, invece di lasciare il meglio alla fine. Io credo che questa sia una caratteristica fin troppo tipica di Fighting Fantasy, e uno degli aspetti che lo differenziano più profondamente da altre serie di librogame.
Ecco spiegati, dunque, i motivi per cui Stormslayer non raggiunge la qualità di Howl of the Werewolf. Struttura più tradizionale, per quanto non lineare; storia più banale, seppur scritta molto bene e ricca di citazioni assortite (tra cui molte da altre avventure della collana); ritmo forse addirittura eccessivo, senza pause né riflessioni; atmosfera decisamente meno coinvolgente; e una conclusione sottotono rispetto a quanto l’ha preceduta. Per dirla in modo più succinto ma più pungente: con Howl of the Werewolf sembrava quasi che l’autore non fosse Jonathan Green, mentre con Stormslayer non c’è il minimo dubbio.
Eppure, in Stormslayer rimangono tanta qualità e tanto divertimento di cui godere. Oltre ai pregi già citati c’è ancora un buon bilanciamento della difficoltà, che sembra lasciare uno spiraglio di speranza anche al personaggio con Abilità 7, sebbene le probabilità siano remote; e poi, dove sono le morti istantanee? La domanda è sincera, perché sono pochissime e pare quasi che Green le abbia nascoste appositamente, tanto che trovarle sembra parte integrante dell’avventura. Nel complesso si vede che Jon Green ha compiuto molti sforzi per limare i difetti dei suoi primi libri e offrire qualcosa di nuovo: il fatto è che un prodotto simile è nuovo per lui, ma per Fighting Fantasy rimane roba abbastanza vecchiotta, uno standard di avventura che oggi ha raggiunto il suo grado di fruizione ottimale, ma solo perché in passato il sistema di gioco è stato quasi sempre usato a sproposito. Stormslayer rappresenta bene o male quello che Fighting Fantasy avrebbe dovuto essere quasi sempre, ma che fu raramente a causa di true path, morti istantanee, quantità esasperate di oggetti, insomma tutti i difetti che hanno sempre afflitto la serie. Per questo, malgrado l’innegabile qualità oggettiva del libro, si rimane un po’ delusi, anche perché Howl of the Werewolf sembrava aver aperto una nuova strada, e invece è stato una fulgida eccezione. E in Stormslayer non abbiamo nemmeno Martin McKenna, ma i disegni del nuovo illustratore Stephen Player: buon soggettista, ma dallo stile discutibile, specie per quanto riguarda la tecnica delle ombreggiature.
Giudizio definitivo? Stormslayer va letto senz’altro da chi ama Fighting Fantasy e capisce l’inglese, perché è un bel librogame; ma alla notevole realizzazione formale non si accompagna un libro coinvolgente. È un orologio che funziona molto bene, ma è uno Swatch e non una pendola antica.
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