| Categoria: Librogame Stranieri Fighting Fantasy
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Titolo: 61 - Bloodbones | Valutazione: 6.67 Letture:1709 | Jonathan Green | L'infame capo pirata Cinnabar, terrore dei dodici mari, fu la piaga dei naviganti del Vecchio Mondo e il suo sanguinoso regno di terrore durò finché un coraggioso avventuriero non mise fine alla sua malvagità. Ma ora egli è tornato dalla morte ed è in cerca di vendetta, con gli oscuri poteri del vudù al suo comando. Anche TU hai i tuoi conti da regolare: Cinnabar assassinò la tua famiglia quand'eri bambino. Solo TU puoi mettere fine all'orrenda carneficina, distruggendo il capitano pirata e la sua ciurma di tagliagole. All'inferno o sul fondo del mare, Ossa Insanguinate dev'essere fermato! |
Valutazione media:
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(1)
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(10)
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Data pubblicazione 10/12/2007
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Inviata da: kingfede1985 il 17/9/2008 |
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Valutazione generale:
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5
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TITOLO: Bloodbones AUTORE: Jonathan Green ILLUSTRAZIONI: Tony Hough ANNO: 2006
Cinnabar, il terrore dei dodici mari di Titan, che per la sua ferocia e le terribili atrocità commesse è stato chiamato Bloodbones, l’assassino della nostra famiglia, è morto. Un celebre cacciatore di taglie lo ha scovato e ha ingaggiato battaglia contro di lui e tutto l’equipaggio della terribile Virago. Cinnabar, ferito a morte, è caduto in mare, e il suo corpo non è mai stato trovato. Ma può veramente morire un servitore di Quezkari, la dea voodoo della morte? Strane voci girano per il Porto dei Granchi: sembra che i vecchi membri della ciurma del pirata maledetto si stiano per riunire, e c’è chi dice perfino che al loro comando sia di nuovo Cinnabar, di ritorno dalla morte e in cerca di vendetta grazie al potere sovrannaturale di Quezkari. Chi potrà fermarlo?
Quarto volume di Jonathan Green pubblicato per Fighting Fantasy, e primo libro della serie assolutamente inedito ad essere pubblicato da Wizard Books, a undici anni dalla chiusura della serie da parte di Puffin, di cui avrebbe dovuto costituire il numero 60, Bloodbones rappresenta la rinascita del genere dei librigame, ma in una prospettiva di asoluta continuità rispetto ai capitoli precedenti della serie. Con tutti i pregi e, purtroppo, i difetti che ne possono conseguire…
L’ambientazione è ottima, ma non certo innovativa nel panorama dei librigame; i precedenti più famosi sono soprattutto L’abisso dei morti viventi di Dave Morris, e in parte anche Il covo dei pirati di Chapman. Il particolare che si segnala invece sicuramente in modo positivo è lo stile di scrittura dell’autore, che è ottimo sia nelle sequenze narrative o descrittive che in quelle dialogate, così com’era successo per i precedenti volumi.
Ma allo stesso modo, come era successo per gli altri volumi la giocabilità è limitatissima, e per vari motivi. Tanto per cominciare, togliamoci subito dalla testa di finire il volume senza un’Abilità di almeno 11 punti, una Fortuna di 10 e una Resistenza alta, perché l’avventura prevede almeno cinque combattimenti proibitivi. Ma fin qui, come si suol dire, nihil novi sub sole…
La prima parte è a dir poco subdola: si può riassumere come una struttura lineare mascherata da ambientazione ad esplorazione libera. Apparentemente, infatti, ci viene data piena libertà nell’esplorazione del Porto, al fine di raccogliere le informazioni necessarie a localizzare il covo di Cinnabar e soci e per trovare gli oggetti necessari a neutralizzarli. Il che, come quasi sempre succede nei volumi più “evoluti” di Fighting Fantasy, implica una notevole dose di fortuna e di divinazione, o quantomeno un notevole bagaglio di esperienza. Purtroppo però l’esperienza e la fortuna non bastano, perché se non si segue un percorso strettissimo è impossibile anche solo giungere al primo checkpoint. Il che manda allegramente a farsi friggere la (potenzialmente interessante) variabile del tempo (“Time”), aggiunta alle caratteristiche base per monitorare la durata della nostra esplorazione. Essa però a volte viene registrata in modo erroneo (o saltata, o raddoppiata), e, in pratica, è schiacciata dalle altre dinamiche di gioco, risultando quasi del tutto inutile. Viene insomma da chiedersi che senso abbia innestare una variabile di questo tipo se il percorso di gioco è pressoché obbligato.
La seconda parte procede in modo più tradizionale, condita, per la gioia di grandi e piccini, da un check simpaticissimo, da buon figlioccio di Livingstone (del tipo “hai fatto bene la spesa? Te lo sei comprato quel ninnolo, vero?”) e da combattimento semplicemente folle con uno squalo.
La terza sezione ci vede finalmente su Bone Island, il rifugio segreto di Cinnabar, alla caccia del pirata-zombi. L’esplorazione dell’isola è stavolta un po’ più libera, ma, assieme ad oggetti e informazioni vitali, nasconde anche molte insidie, e, considerando che a quel punto dell’avventura difficilmente le forze sono integre, occorre tenere gli occhi bene aperti e prepararsi a dovere in vista degli ultimi combattimenti, di difficoltà ai limiti dell’assurdo.
Per molti versi, Bloodbones è un’autentica delusione, l’ennesima bella avventura da leggere ma impossibile o quasi da giocare. Se fosse stato pubblicato qualche settimana dopo Curse of the Mummy, molti dei difetti che ho evidenziato sarebbero stati ampiamente giustificati, anzi, probabilmente non sarebbero stati nemmeno difetti: ci saremmo semplicemente trovati di fronte all’ennesimo capitolo di evoluzione del concetto di true-path, perfetto per certi lettori e odiato da altri. Ma che senso può avere pubblicare un volume così nel 2006, riuscendo inevitabilmente a scontentare sia i vecchi lettori, alla ricerca di qualcosa di nuovo e più al passo coi tempi, sia quelli nuovi, che si trovano di fronte un libro ingiocabile? Non per niente, le proteste sono state notevoli, e lo stesso autore ha ammesso di aver sbagliato un po’ il tiro in certi passaggi, promettendo di offrire un lavoro molto diverso in futuro. Promessa pienamente mantenuta con Howl of the Werewolf.
AMBIENTAZIONE: 7 STILE DI SCRITTURA: 9 INTERATTIVITÀ: 3 BILANCIAMENTO: 2 ILLUSTRAZIONI: 6
DIFFICOLTÀ: quasi impossibile VOTO COMPLESSIVO: 5
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Inviata da: EGO il 6/10/2009 |
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Valutazione generale:
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7
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Bloodbones è una leggenda divenuta realtà. Nel 1995 fu annunciato come imminente numero 60 dell’originale serie di Fighting Fantasy, e a lungo rimase prenotabile online sebbene la collana fosse ufficialmente conclusa. Nel 2006, grazie all’editore Wizard, il quarto librogame di Jonathan Green è finalmente riuscito a vedere la luce come secondo inedito della riedizione di Fighting Fantasy, dopo undici anni di attesa.
Fa sorridere pensare che, benché pensato e in gran parte steso con largo anticipo rispetto alla trilogia cinematografica dei Pirati dei Caraibi, Bloodbones la ricordi per molti aspetti. Il protagonista è un ragazzo la cui placida famiglia fu sterminata, diversi anni prima, durante una razzìa della ciurma pirata capitanata dal terribile Cinnabar, detto Bloodbones per la sua brama sanguinaria. Quando, cresciuto e divenuto più forte, il giovane si sente finalmente pronto ad affrontare l’assassino dei suoi genitori, scopre che Cinnabar è morto per mano di un cacciatore di taglie. Tuttavia il feroce pirata non è scomparso per sempre: il suo corpo è stato recuperato dagli abissi e, grazie alla magia vudù dei seguaci del dio Quezkari, sta per tornare in vita più forte di prima, per conquistare Porto Granchio e tutte le città della costa. Qualcuno deve impedirlo, e quel qualcuno saremo noi!
Faccio subito una piccola considerazione: per pensare di finire Bloodbones con un sufficiente margine di probabilità è necessario scrivere 12 nella casella Abilità. Qualcuno è riuscito a inventarsi soluzioni per un personaggio di Abilità 8, ma davvero, si tratta di pura speculazione e sono certo che non reggerebbe alla prova dei fatti. E in ogni caso serve una altissima dose di Fortuna, come del resto in tutti i libri di Green. Detto questo, Bloodbones mi è piaciuto molto di più delle precedenti prove dell’autore. Il libro è ricco di buone idee, sia narrative che ludiche. La prima parte ricorda fortemente il Moonrunner di Stephen Hand, con l’esplorazione del porto alla ricerca del covo dei pirati. Questa sezione si accompagna ad un fattore tempo, entro il quale bisogna trovare ciò che si cerca; poiché la corsa contro il tempo non si estende per tutta l’avventura, è un elemento che permette di ottimizzare le nostre mosse fino ad arrivare al checkpoint nelle condizioni migliori, che includono anche un paio di acquisti oculati. Successivamente si deve inseguire la ciurma pirata fino all’Isola delle Ossa, dove Cinnabar verrà restituito alla sua forma umana. Il viaggio per mare e l’isola toccano bene o male tutti i cliché delle storie di pirati e isole tropicali, non con la verve di altri librogame simili (vedi L’abisso dei morti viventi), ma direi che c’è ben poco da lamentarsi. Il livello di sfida è alto ma non eccessivo, c’è un intelligente uso degli incontri casuali e l’interesse viene sempre mantenuto vivo, rendendo l’avventura qualcosa di più di un semplice dungeon all’aria aperta (tra parentesi, la sezione dungeon vera e propria c’è). Le battute finali della storia sono talmente frenetiche e palpitanti che non è difficile trovarsi a scorrere i paragrafi in preda ad un’autentica esaltazione, e questo è un pregio che hanno pochi episodi di Fighting Fantasy.
Non è neanche difficile puntare il dito sui difetti che impediscono a Bloodbones di diventare un autentico classico. Primo: alcuni combattimenti, troppo pretenziosi, e in modo particolare gli ultimi, in cui si poteva rinunciare alle condizioni extra, visto che già così gli avversari sono abbastanza potenti. In tema di battaglie segnalo due questioni incerte: 1) è possibile usare i Globi di Gas contro lo Squalo Bianco? La logica dice di no, ma questa volta mi prendo il gusto di sbeffeggiare i lettori stranieri con la loro beneamata interpretazione letterale: se non c’è scritto che non si può, allora si può. 2) Mi riservo il diritto di usare l’incantesimo anti-insetti contro lo Scarachna, sebbene Jon Green in persona abbia detto (sul forum ufficiale della collana) che questo mostro non è un insetto. Motivo? a) la credenza popolare vuole che i ragni siano insetti, e se il libro non lo specifica, voglio vedere quanti lettori non li considerano tali; b) l’avversario è di difficoltà talmente assurda che l’incantesimo mi sembra messo a bella posta per lui. Secondo difetto: la sezione finale, oltre che per le battaglie, è un po’ eccessiva anche come tiri per la Fortuna e morti istantanee. Più che per questo, però, protesto per il paragrafo 295, che nella pratica equivale ad un tiro con il 50% di morte immediata. A parte che questa mania di Green è ormai patologica, mi sembra che arrivare fin lì sia già difficile quanto basta. Terzo: lo stile non è proprio esaltante. Il testo è ancora piuttosto ingenuo e poco stimolante: basti pensare a certe “brillanti” deduzioni del protagonista, a specificazioni che non dovrebbero essere fatte, all’assenza di pause là dove creerebbero maggior tensione, a certi dialoghi bambineschi («Stranger, let me introduce myself. I’m the Anchor Man, and now it’s time to die.»). Sebbene l’avventura ricordi, anche nella struttura ludica, The Secret of Monkey Island, è ovvio che Green ambiva a tutt’altro, perciò queste somiglianze stilistiche sono preoccupanti anzichenò.
A Bloodbones manca un po’ di maturità in più. Dal risultato finale intuisco che l’autore non abbia ritoccato molto il manoscritto originale riprendendolo in mano dopo dieci anni, altrimenti avrebbe potuto limare la difficoltà e perfezionare il testo in modo da renderlo più coinvolgente e meno naïf. Riconosco però che è stato compiuto un netto passo avanti in termini di equilibrio generale: Spellbreaker e Knights of Doom erano splendidi da leggere ma massacranti da giocare, Curse of the Mummy troppo generico e poco approfondito. Bloodbones offre un’avventura molto godibile e alcune illustrazioni stupende (bruttissimo però il ritratto di Cinnabar), e ha veramente “rischiato” di raggiungere una qualità degna dei Fighting Fantasy più amati dal pubblico. Come primo episodio inedito al 100% dopo così tanto tempo, direi che ripaga la lunga attesa.
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Inviata da: Yvorian il 4/1/2014 |
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Valutazione generale:
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8
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Forse questo è il mio gamebook preferito tra quelli scritti da Jonathan Green, e sicuramente è tra i miei Fighting Fantasy preferiti. Ci troviamo di fronte ad un classico true path, come vuole la tradizione di questa collana. Di diverso rispetto al solito si ha un'indicazione di background del protagonista, i cui genitori sono stati trucidati anni fa dal feroce pirata Cinnabar, noto come Bloodbones. Il protagonista, messosi sulle tracce del pirata per consumare la sua vendetta, scopre che nel frattempo è stato ucciso, ma che qualcuno vuole riportarlo in vita.
Bloodbones è una storia di genere piratesco, purtroppo molto poco rappresentato nella collana Fighting Fantasy (l'unico altro di cui conosco l'esistenza è Seas of Blood, tradotto in Italia come "Il Covo dei Pirati" nella collana 'dimensione avventura'). In quanto rappresentante del genere, dal punto di vista dei topoi narrativi decisamente non delude. Abbiamo pirati, navi fantasma, colossali leviatani dei mari, voodoo, zombi, maledizioni, isole selvagge, tribù di cannibali, persino un golem composto da oro e gioielli provenienti da un tesoro (una chicca, se volete la mia opinione), e un vampiro di nome Jolly Roger. Il tutto impreziosito da illustrazione di livello decisamente alto.
Dal punto di vista della trama, l'ho trovato altrettanto avvincente, e il fatto che questa sia divisa in segmenti aiuta nel cammino per il true path: nel caso ci si dovesse incagliare in un punto, basta ricominciare da quel segmento, perché se si è arrivati fin lì significa che quello che è stato fatto prima era corretto. Fortunatamente non abbiamo gli oggetti necessari al combattimento finale che si potevano trovare solo all'inizio avventura, come accadeva nel famigerato Spellbreaker. Ogni oggetto importante si trova nel segmento che si sta giocando in quel momento, o al massimo nel segmento precedente, tranne che per un unico caso. Abbiamo quindi l'avventura divisa tra un inizio in città a caccia di indizi sul covo segreto dei pirati; un inseguimento in mare; l'esplorazione di un'isola segreta; un combattimento finale. Viene fatto un frequente uso di parole d'ordine, che si ottengono compiendo particolari scelte durante la narrazione (se ad esempio si combattono i pirati di un faro che cercavano di far finire una nave sugli scogli, si ottiene una parola d'ordine che più avanti ci permetterà di reincontrare la nave che abbiamo appena salvato). Se c'è da trovare un difetto, questo sta nel fatto che i combattimenti sono frequenti e di difficoltà decisamente alta. Esistono oggetti disseminati per il libro che rendono alcuni dei combattimenti più facili, ma in generale è bene iniziare con il massimo in Skill e una Stamina decisamente alta. I tiri di fortuna save or die non mancano, e in un caso si arriva a dover tirare due dadi quattro volte e non avere mai un risultato doppio, pena una morte atroce. Questo può risultare frustrante, ma ogni volta che il mio personaggio è morto o mi sono trovato in un vicolo cieco perché mi mancava un oggetto, mi sentivo molto motivato a ricominciare e tentare un'altra strada, e questo è il meglio che si possa pretendere da un true path fatto bene. Se manca la voglia di ricominciare, è semplicemente finita.
Nel complesso un'ottimo gamebook, che consiglio caldamente a chi non si scoraggia di fronte a una difficoltà alta.
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