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Indice principale : Librogame Stranieri : Fighting Fantasy : 

Categoria: Librogame Stranieri Fighting Fantasy
Titolo: 59 - Curse of the Mummy  Piu' letteValutazione: 6.00  Letture:1638
Descrizione   Jonathan Green
Descrizione   Aiutare un archeologo eccentrico a dissotterrare un'antica tomba nel Deserto dei Teschi sembra un compito facile per un eroico avventuriero come TE. Ma quando si scopre che la tomba appartiene ad Akharis, leggendario sovrano di un'epoca passata, e quando tu vieni a sapere che alcuni dei suoi seguaci stanno cercando di riportare in vita il malvagio faraone, devi agire in fretta. Presto apprenderai il vero significato della Maledizione della Mummia! Ci vorrà un vero eroe per sconfiggere Akharis e conquistare il suo tesoro. Accetti la sfida?
Valutazione media: (1) (10)
Data pubblicazione 10/12/2007
Inviata da: kingfede1985 il 10/2/2008
Valutazione generale: Valutazioni di categoria: 6 6
Descrizione
     TITOLO: Curse of the Mummy
AUTORE: Jonathan Green
ILLUSTRAZIONI: Martin McKenna
ANNO: 1995 (2007)


“Cercasi avventuriero coraggioso per pericolosa missione sulle colline attorno al Deserto dei Teschi. Lauta ricompensa garantita. Rivolgetevi a Jerran Farr, presso la Zampa di Scimmia”. Un avviso come questo non può che attrarre l’attenzione di un avventuriero aitante ma sfortunato come noi, unici superstiti di un attacco dei pirati al nostro vascello e disperatamente bisognosi di guadagnare qualche soldo per poter tornare a casa. Ma la missione sembra ardua e rischiosa. Il celebre e discusso archeologo ha scoperto la locazione della perduta tomba di Akharis, malvagio faraone dell’antico regno di Djarat, ma non è l’unico ad avere questa informazione: anche i membri del malefico Culto del Cobra, che cercano la tomba del diabolico faraone ormai da secoli, sono sulle tracce del tempio, e hanno intenzione di ridare vita ad Akharis e riportare in auge il culto di Sithera, la dea del Male dell’antica Djarat. Bisogna a tutti i costi fermare i discepoli della setta e il loro malvagio piano… e chi può farlo, se non noi?

L’ambientazione di questo volume, ultimo Fighting Fantasy pubblicato nel 1995 prima della chiusura della serie, è assolutamente intrigante e molto ben curata. Le descrizioni di Green sono sempre puntuali e precise, senza mai essere troppo pesanti, e il testo non perde mai scorrevolezza, nemmeno nei paragrafi più lunghi.
Dal punto di vista del regolamento, questo volume presenta una nuova caratteristica, il POISON (“Veleno”), che tiene conto della nostra capacità di resistere ai danni inferti da determinate creature o da armi avvelenate. Partiamo con un livello di Veleno pari a 0, e se durante l’avventura tale caratteristica raggiunge i 18 punti, siamo spacciati! Non si capisce molto bene perché non sia stato reso interattivo anche questo valore (bastava la semplice formula 1d6 + 15 per bilanciare senza problemi l’avventura), ma non è certo il Veleno il problema principale…

L’avventura è divisa in tre sezioni: innanzitutto è necessario raggiungere la Tomba di Akharis nel bel mezzo del Deserto dei Teschi; dovremo poi affrontare le mille insidie nascoste nei cunicoli del tempio maledetto, per terminare con uno scontro frontale coi membri del Culto del Cobra e porre fine alla maledizione del malvagio faraone.

La prima sezione, come succede anche in Spellbreaker, è la variabile principale sulle possibilità di successo dell’opera: se non si compiono le scelte adatte in determinati punti, e non si spendono i Pezzi d’Oro in modo oculato, non c’è la minima speranza di uscire vivi dalla Tomba. Tuttavia, al di là della lista della spesa, che, come in ogni buon Fighting Fantasy, prevede sempre una certa capacità di preveggenza, le altre scelte sono quasi sempre prevedibili.

I veri problemi emergono non appena si mette piede nel tempio maledetto: già al primo scontro diventa chiaro che senza una Abilità molto alta (almeno 11) e una Fortuna medio-alta possiamo anche alzare bandiera bianca, non si caverà mai un ragno dal buco. Solo nel percorso preferenziale, che purtroppo per noi consente solo delle minime divagazioni (di nuovo, in perfetto stile Fighting Fantasy), ci sono almeno quattro combattimenti contro avversari con Abilità dal 10 in su; se poi consideriamo che di combattimenti ce ne sono molti altri, alcuni dei quali con ampie probabilità di avvelenamento, è facile comprendere quali siano i requisiti per sopravvivere al dungeon e all’assalto al Culto del Cobra.

Lo scontro finale, purtroppo, è la sezione peggio gestita di tutta l’avventura: le possibilità di fiaccare Akharis sono minime, e anche gli oggetti che ci aspetteremmo siano vitali ai fini del successo hanno scarsissimo peso. Insomma, l’’unica possibilità di vincere lo scontro è avere una gran dose di fortuna, e dopo tutte le fatiche che si sono sprecate per arrivare fino in fondo tutto ciò suona decisamente ingiusto.

È difficile valutare complessivamente questo librogame, soprattutto se consideriamo che prima della ripubblicazione del volume da parte di Wizard Books lo stesso Green, di sua spontanea volontà, ha deciso di ritoccare alcuni elementi per renderlo più facilmente giocabile. Non è semplice comprendere se sia riuscito nel suo intento o meno: se per “renderlo giocabile” si intende “permettere di terminare l’avventura, a patto che tu parta con dei valori iniziali spropositati”, forse su questo ci siamo. Ma siamo altrettanto lontani da ciò che significa rendere il libro veramente giocabile, indipendentemente da quei valori, e siamo altrettanto lontani dall’ottima riuscita di Spellbreaker.

Per certi versi, Curse of the Mummy, forse anche più di Spellbreaker, è l’evoluzione ultima di un certo modo di intendere i librigame, che non può che dividere le schiere di lettori fra gli amanti delle avventure basate sul true path e chi preferisce esplorazioni più libere. La rigidità strutturale forse per certi versi serve a togliere determinati pensieri all’autore che, non dovendo bilanciare il gioco in funzione di un numero esagerato di variabili, può permettersi di concentrarsi sulla qualità della prosa, che è ormai mille passi avanti rispetto alla prosa asciutta del primo Livingstone, di un certo Jackson e di molti altri autori della serie attivi negli anni precedenti. Considerando anche la qualità non sempre eccelsa delle illustrazioni, rimane questo il maggior pregio dell’opera.




AMBIENTAZIONE: 9
STILE DI SCRITTURA: 10
BILANCIAMENTO: 5
INTERATTIVITÀ: 8
ILLUSTRAZIONI: 6

DIFFICOLTÀ: difficile
VOTO COMPLESSIVO: 7,5





ERRATA CORRIGE (ediz. Wizard):

242: lo Scorpione ora ha Abilità 8 (non più 10, come nell’edizione Puffin), ma il testo sottostante le caratteristiche è errato: facendo riferimento alla nuova Abilità, la sua Forza d’Attacco massima è 20, non 22.
307: lo Stregone Caarth ha Abilità 10 mentre lancia la Palla di Fuoco. Nel successivo combattimento, al paragrafo 50, ha Abilità 9 (nella versione originale era 10). A logica, è un errore di emendamento del testo.

Inviata da: EGO il 22/8/2009
Valutazione generale: Valutazioni di categoria: 6 6
Descrizione
     In seguito a un naufragio, è più che normale aver bisogno di soldi. Un annuncio esposto presso la Gilda degli Avventurieri ci mette in contatto con Jerran Farr, archeologo attivo nella zona del Deserto dei Teschi. Jerran è venuto a sapere che alcuni esploratori hanno scoperto un’antica iscrizione che rivela dove trovare l’antica tomba del faraone Akharis, mai violata e certamente ancora colma dei suoi immensi tesori. Ci sono però un paio di problemini. Primo: Akharis era un sovrano malvagio e, alla sua morte, si era alleato con la dea Sithera per potere un giorno risorgere e far calare la sua maledizione sul mondo intero. Secondo: la Setta del Cobra sta attualmente ultimando i preparativi per la resurrezione di Akharis. Dunque la missione è ben più di una semplice caccia al tesoro, e il tempo stringe…

Ultimo numero della serie originale di Fighting Fantasy, Curse of the Mummy porta la firma di Jonathan Green. Stranamente nessuno, prima di lui, aveva sfruttato il tema della mummia e dell’ambientazione egiziana nella serie; questo però non significa che il libro sia particolarmente originale. Vero, Green ha sicuramente svolto delle ricerche sull’argomento, però il collage finale di miti, oggetti e luoghi non è nulla che non si sia mai visto. Oltretutto, ben lungi dalle aspirazioni dei precedenti libri dell’autore, questo presenta una narrazione molto generica e poco coinvolgente, diretta al sodo e assai povera di background. Se il paragone è appropriato, L’occhio della Sfinge, opera del gruppo francese di Doug Headline, è infinitamente superiore nello sfruttare in chiave fantasy il setting dell’antico Egitto, vuoi per quanto riguarda il gioco, vuoi soprattutto in merito all’originalità e alle emozioni del racconto.

Il libro di Green è infatti di chiara matrice livingstoniana, e inevitabilmente richiama Temple of Terror, almeno nella sua impostazione generale. Nella prima parte dovremo attraversare il deserto verso la tomba di Akharis: i percorsi sono vari, ma difficilmente li vedrete tutti, perché quello corretto – includente tutti gli oggetti e le informazioni vitali – è uno solo, e viene suggerito con tanta insistenza che è impossibile sbagliare. La seconda parte ha luogo nella tomba vera e propria, un dungeon alla classica maniera di Livingstone: svolte a destra o a sinistra, impossibilità quasi totale di tornare indietro, stanze da visitare e altre da evitare accuratamente – quali, lo si scoprirà solo sbagliando la prima volta. Tutto ben mappabile, se si esclude il malnato labirinto in cui la logica non sta nella direzione, ma nel numero del paragrafo: devi andare a quello che non hai ancora visitato, e sperare che ti porti all’uscita.
Infine c’è ancora una terza parte, che secondo me è in assoluto la più bella e interessante; sfortunatamente non riesce a risollevare di tanto la qualità del libro, perché non è altrettanto curata sul piano del gioco.

A questo proposito, è evidente che Curse of the Mummy è il più generoso dei primi tre libri di Green: non ci sono tiri di dado col 50% di probabilità di morte, e il ricorso alla Fortuna è più moderato, per quanto fallire un tiro significhi quasi sempre morire. La Fortuna deve però essere comunque molto alta, perché torna comoda nei combattimenti, meno numerosi che in passato ma ugualmente difficili. Nell’edizione originale Puffin è assolutamente fuori questione iniziare senza Abilità 12; nella riedizione Wizard i punteggi di molti nemici obbligatori sono stati abbassati, ma questo permette solo di conservare Resistenza durante l’avventura: per battere Akharis è comunque necessario cominciare al massimo. Senz’altro l’esperienza globale è più piacevole che in Knights of Doom: devo però bacchettare l’autore per quell’idiozia che ha messo subito prima delle battaglie finali, dove vorrebbe che battessimo QUINDICI mummie una dopo l’altra. Mi spiace, Jon, ma dopo un attimo di riflessione ho posato i dadi e sono andato al paragrafo di vittoria. Lo scontro con Akharis, del resto, è troppo ricco di possibilità e sorprese per rovinarsene il gusto accettando ciò che lo precede.

Curse of the Mummy vive comunque tutto in prospettiva del climax finale, perché il resto non offre nulla di nuovo. C’è sempre il true path, ci sono sempre i numeri da moltiplicare e i nomi da trasformare in numeri, c’è qualche giochetto del tipo “ora che sai questo, quando sarà il momento giusto aggiungi/sottrai una certa cifra”, sempre buono per tenere viva l’attenzione. Ma, ahimé, l’avventura manca di mordente, di sense of wonder, di quella scintilla che rende un episodio indimenticabile. Lo stesso vale per i disegni di Martin McKenna: il primissimo piano di Akharis è eccezionale, ma tra le altre tavole, ben poche meritano una seconda occhiata.

Grazie al suo discreto equilibrio, ad una struttura amichevole e ai fuochi d’artificio finali, Curse of the Mummy avrebbe potuto meritare un voto in più. Glielo tolgo a causa delle solite esagerazioni nei combattimenti e di qualche trappola disonesta, cose che si potevano evitare. Piuttosto inutile anche il punteggio di Veleno: se arriva a 18 muori, ma come per molti suoi analoghi, è più probabile morire prima per qualcos’altro. In definitiva, l’edizione originale di Fighting Fantasy si chiude con un’avventura in grado di reggersi sulle proprie gambe, ma priva di quel quid che un simile autore poteva darle, e che l’ambientazione avrebbe meritato.

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