| Categoria: Librogame Stranieri Fighting Fantasy
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Titolo: 56 - Knights of Doom | Valutazione: 6.00 Letture:1434 | Jonathan Green | Per anni i coraggiosi Cavalieri Templari della Fortezza dei Demoni hanno mantenuto la pace a Ruddlestone. Ma ora un male antico si è risvegliato in queste terre: lo stregone Belgaroth è tornato dalla morte, e userà i suoi poteri per portare il caos e il terrore in questo pacifico regno. Per assicurarsi che il suo piano riesca, il malvagio stregone ha ingaggiato al suo servizio i Cavalieri del Destino. Un eroico cavaliere -TU! - deve addentrarsi in una terra devastata dalla guerra, penetrare nelle linee nemiche e sconfiggere il nemico più letale di tutti! |
Valutazione media:
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(1)
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(10)
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Data pubblicazione 10/12/2007
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Inviata da: EGO il 2/7/2011 |
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Valutazione generale:
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6
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Il regno di Ruddlestone è malato, e così il suo re. La causa? Belgaroth, il fratello malvagio di un antico sovrano, è tornato dal regno della morte, e con lui i suoi Cavalieri del Caos. Il ritorno di questo nemico ha risvegliato ogni essere malvagio del regno, mentre i Cavalieri si preparano all’assalto finale nelle rovine della fortezza di Caer Skaal. Chi può opporsi a tale minaccia? Solo i Templari dell’ordine di Telak lo Spadaccino. Noi interpretiamo uno dei migliori elementi dell’Ordine, e a noi tocca andare fino a Caer Skaal ad affrontare Belgaroth. Se vi state chiedendo perché, il motivo è semplice: i consiglieri del re sostengono che un uomo solo, ma abile, abbia più probabilità di successo di un esercito di uomini abili, i quali tra l’altro non sono ancora pronti alla battaglia. Forse la malattia del regno ha radici più profonde…
Ma purtroppo di questo non potremo occuparci. A noi spetta l’avventura imbastita da Jonathan Green, e già è sufficiente. Che cosa ci troviamo di nuovo? Per prima cosa due punteggi supplementari: l’Onore e il Tempo, che non devo spiegare e che ovviamente vengono verificati quando bisogna accedere ad alcune parti dell’avventura. Come giustamente sottolineato da un altro lettore, i due punteggi lavorano l’uno contro l’altro: per aumentare l’Onore (e si deve) bisogna deviare dalla retta via e impiegare più tempo, ma ovviamente, arrivando al checkpoint con un giorno di ritardo, l’avventura fallisce. Dunque Onore e Tempo fanno parte a pieno titolo del true path del libro. Più significativa, anche se non proprio una novità, è la presenza di nove abilità speciali, tra cui possiamo selezionarne quattro per partita. Anche in questo caso penso sia facile immaginare che alcune di esse sono molto più sfruttate di altre, anche se nel corso del gioco si avrebbe occasione di usarle tutte a buon fine. Ci sono un paio di oggetti in grado di “sostituire”, per un solo utilizzo, alcune abilità, ma per il resto, che si fa se quell’abilità serve ma non l’abbiamo? È presto detto: si Tenta la Fortuna. Idea buona e onesta? Ditelo a quello che è partito con meno di 11 punti di Fortuna e ha fallito un tiro, specialmente nella parte finale dove sfortuna = morte, e in barba a ciò l’autore non si fa scrupolo di far Tentare la Fortuna due volte nello stesso paragrafo. Il ricorso di Green al punteggio Fortuna è sicuramente eccessivo, tanto che la sfilza di tiri comincia al paragrafo 1; certo, sempre meglio del 192 dove, in mezzo a una vera raffica di prove di Fortuna e Abilità, c’è di nuovo un tiro “4-6 ce la fai, 1-3 sei spacciato”; però ci si aspetta che, specialmente nelle battute finali di un libro così esigente, il successo non dipenda per così larga parte dal capriccio della sorte.
La parola “esigente” ben si adatta a Knights of Doom. Il true path è lunghissimo e ineludibile: dall’arrivo a Caer Skaal fino alla fine del libro Green viene posseduto dallo spirito di Livingstone, e non passerà paragrafo senza che ci venga chiesto se abbiamo trovato quell’oggetto o ottenuto quella parola d’ordine; se ne manca uno, ciao. Anche l’influenza di Keith Martin gioca la sua parte, con calcoli numerici basati sui nomi e regole aggiuntive a combattimenti già impossibili. Sfido chiunque, anche chi è partito con Abilità 12, a non trovare assurdo il combattimento al 60 e semplicemente ridicoli quelli al 229 (obbligatorio) e al 382 (se ci capitate, tanti, tanti auguri, e condoglianze anticipate). Anche il duello con Belgaroth, comunque, non scherza affatto, e contiene una regola extra del tutto inutile: per quanto alta sia, la Resistenza finirà molto prima dell’Onore. Queste battaglie sono tanto più arroganti se si considera che, anche nell’ipotesi di una partita ottimale e baciata dalla fortuna più sfacciata, si affrontano almeno quaranta avversari, di cui tre con Abilità 12 e Resistenza commisurata. È troppo? Cribbio, sì. Riguardo agli enigmi, non presentano nulla di nuovo, né sono difficili o complessi come alcuni proposti da Keith Martin. Menzione particolare merita quello al 214, che è risolvibile anche senza l’indizio relativo (che si trova soltanto fallendo un tiro per l’Abilità, il che richiede di barare platealmente), però in questo caso sarà assai più difficile.
Knights of Doom offre troppo da fare e da maledire per poter badare al racconto, che infatti non si sforza di lasciare grosse impressioni. Il testo è curato, ma lezioso: le singole scene non hanno la creatività, l’impatto, l’audacia di quelle viste in Spellbreaker. Quelle iniziali vengono presto a noia perché bisogna ripercorrerle dozzine di volte; quelle più avanzate vengono scorse velocemente perché si vorrebbe anche farla finita, visti i requisiti dell’avventura e la sua lunghezza spropositata. In Knights of Doom c’è poco materiale inutile, e questo di per sé sarebbe un bene, se le condizioni per la vittoria non appesantissero l’esperienza fino allo sfinimento. La battaglia finale (eccetto il paragrafo introduttivo 138, che è pessimo), in particolare, sarebbe un piccolo capolavoro se ogni paragrafo non presentasse un combattimento disperato o la richiesta di oggetti o informazioni. Sempre molto bravo invece Tony Hough ai disegni, almeno artisticamente: lo stile non è sempre entusiasmante, ma quando azzecca un design è irresistibile.
Knights of Doom conferma la prima impressione su Jon Green: i suoi modelli per Fighting Fantasy sono quelli sbagliati, ovvero Livingstone, Martin e Waterfield nelle loro peggiori espressioni. Green mutua dai loro libri esattamente quei meccanismi per cui quegli autori sono venerati dai lettori masochisti e spensieratamente imbroglioni, e vituperati invece da quelli a cui piacerebbe leggere un librogame senza perdere una vita a tirare dadi e senza restare con addosso il senso di colpa per aver dovuto forzare le regole. Knights of Doom è più sensato e rifinito di Spellbreaker, ma raggiunge solo una stiracchiata sufficienza, quando poteva essere, con i dovuti accorgimenti, un ottimo librogame.
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