| Categoria: Librogame Stranieri Fighting Fantasy
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Titolo: 53 - Spellbreaker | Valutazione: 6.50 Letture:1525 | Jonathan Green | L'Abbazia di Rassin sorveglia da secoli i suoi tesori. Ma quando il Grimorio Nero viene rubato, la terra di Ruddlestone piomba in una crisi di proporzioni epiche, perché l'antico libro contiene la chiave dello Scrigno delle Ombre e del male che vi è imprigionato. Se venisse aperto, la Bestia Infernale verrà liberata e potrà compiere la sua terribile carneficina nel Vecchio Mondo. Nella notte della Luna di Shekka, tra pochi giorni, tutto questo accadrà di certo. A meno che, naturalmente, un coraggioso eroe non recuperi il Grimorio Nero - un eroe come TE! |
Valutazione media:
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(1)
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(10)
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Data pubblicazione 10/12/2007
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Inviata da: kingfede1985 il 10/2/2008 |
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Valutazione generale:
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9
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TITOLO: Spellbreaker AUTORE: Jonathan Green ILLUSTRAZIONI: Alan Langford ANNO: 1993 (2007)
Dopo aver passato un’intera vita a vendere la propria spada al miglior offerente e aver viaggiato per il Vecchio Mondo in cerca di avventure, è giunto il tempo di prendersi una pausa, di tornare al natio paese di Ruddlestone e pensare alla salvezza della nostra anima. Attraversando le colline occidentali siamo giunti nei pressi dell’Abbazia di Rassin, nel bel mezzo di una tempesta. In compagnia di uno sconosciuto pellegrino di nome Nazek, troviamo rifugio nel sacro monastero. Durante la notte, però, accade qualcosa di gravissimo: Nazek si intrufola nella biblioteca del monastero e ruba il Grimorio Nero, un libro di magia nera che contiene un incantesimo pericolosissimo, in grado di aprire il Demafrauge, il leggendario Sepolcro delle Ombre, la prigione della Bestia Infernale custodita nel monastero di Claybury, al di là delle colline occidentali. E quel che è peggio è che il rituale può essere compiuto solo durante la notte della Luna di Shekka… fra quattro giorni! Riusciremo, in questa folle corsa contro il tempo, ad impedire a Nazek di scatenare l’Inferno su Ruddlestone e sull’intero Vecchio Mondo?
Con questo volume fa il suo esordio nella collana di Fighting Fantasy l’ultimo autore della serie prima della sua chiusura, e primo scrittore a pubblicare opere inedite (Bloodbones e Howl of the Werewolf) a partire dalla ripubblicazione della serie da parte di Wizard Books, Jonathan Green. E che esordio! L’opera risulta essere uno dei volumi più completi mai pubblicati dalla serie in ogni suo aspetto: ambientazione, stile narrativo e descrittivo, costruzione strutturale, bilanciamento, grafica.
Oltre alle caratteristiche di gioco che ben conosciamo, Green aggiunge in questo volume un punteggio di FAITH (“Fede”), che serve a misurare la nostra spiritualità e devozione. La gestione del punteggio di Fede è completamente diversa rispetto a Vault of the Vampire di Keith Martin (il nostro La Cripta del Vampiro, Dimensione Avventura 12): si parte con 1, e nel corso dell’avventura dovremo cercare di aumentare il punteggio. Le possibilità di farlo sono molte, così come sono numerosi, e a volte difficili, i check dell’abilità in questione, quindi è buona cosa accumulare un discreto punteggio fin dalle prime fasi.
La struttura dell’avventura è incentrata su un rigorosissimo true path, che lascia pochissimo spazio per le divagazioni, e a volte impone delle scelte imprevedibili (e forse qualche volta un po’ troppo contro-intuitive, per poter accumulare gli oggetti o le informazioni necessarie per poter giungere al termine dell’avventura. Inutile dire che servono numerosi tentativi per poter giungere alla sezione finale.
A differenza di Curse of the Mummy, i combattimenti sono meglio bilanciati, e per terminare il volume, se si ha un po’ di fortuna dalla propria parte, potrebbe bastare un’Abilità media; prova ne sia che le modifiche al testo precedenti alla ripubblicazione di Spellbreaker per Wizard Books sono state molto meno numerose ed incisive rispetto all’altro volume.
L’avventura si articola in piccole sub-quest, man mano che si avanza nel nostro viaggio verso Claybury. Inutile dire che, in perfetto stile Fighting Fantasy, ogni singola tappa parziale va considerata come tassello di un complicato mosaico, ed è necessario non lasciare nulla al caso per poter arrivare allo scontro finale.
L’ambientazione è molto ben curata, e riesce a dare una forte atmosfera all’opera; lo stesso vale per lo stile di Green, estremamente evocativo e perfetto per rendere la suspence dei momenti più concitati del volume, e le ottime illustrazioni di Langford, che in qualche caso ricordano molto da vicino le migliori tavole di La Creatura del Male, curate dallo stesso disegnatore.
Molti lettori poco amanti dei librigame a true path potrebbero storcere il naso di fronte a Spellbreaker, che a volte, nella sua notevole rigidità, è alquanto crudele nel punire anche il lettore meticoloso ma troppo poco lungimirante, o semplicemente meno fortunato. A mio avviso, almeno in due circostanze, forse, si poteva modificare l’impianto dell’opera in sede di revisione del testo, per renderlo più “umano”, ma a parte questi due punti il resto della struttura è inattaccabile, con quel suo senso di implacabile cinismo che caratterizza molte opere dei “vati” Livingstone e Jackson. Se però non odiate troppo le avventure con questa scrittura, Spellbreaker può essere una lettura interessante e piacevole.
AMBIENTAZIONE: 10 STILE DI SCRITTURA: 10 INTERATTIVITÀ: 7 BILANCIAMENTO: 8 ILLUSTRAZIONI: 9
DIFFICOLTÀ: difficile VOTO COMPLESSIVO: 9
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Inviata da: EGO il 4/7/2009 |
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Valutazione generale:
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4
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Jonathan Green è l’ultimo autore aggiuntosi alla scuderia di Fighting Fantasy fino ad oggi (e probabilmente per sempre). La sua prova d’esordio è questo Spellbreaker, che si presenta subito interessante grazie ad uno stile molto d’atmosfera e a un prologo di grande effetto. Il nostro solito avventuriero sta viaggiando verso l’Abbazia di Rassin in una notte di violenta tempesta. Sulla strada incontra uno sconosciuto diretto alla stessa destinazione, e insieme la raggiungono mentre l’abbazia è presa d’assalto da un gruppo di demoni. Il nostro eroe entra nell’edificio e invita all’interno il suo compagno, senza sapere che si tratta in realtà del negromante Nazek, il cui obiettivo è rubare il Grimorio Nero custodito nell’abbazia. Dopo un paio di paragrafi scopriamo che Nazek ha intenzione di usare il tomo nella notte della Luna di Shekka, tra quattro giorni, per aprire il Sepolcro delle Ombre in cui sono rinchiusi demoni leggendari.
Un po’ ingenuo, ma meno banale del solito essere potentissimo uscito da chissà dove; Jon Green, inoltre, scrive meglio di tanti altri e lo dimostra a più riprese in tutto il libro, riuscendo a creare atmosfere potenti che rendono unico e memorabile ogni evento. Per di più, ciò che viene raccontato non è roba leggera: in Spellbreaker assistiamo a un corteo di flagellanti, entriamo in un villaggio di appestati e veniamo coinvolti nel processo a una presunta strega. Il giudizio morale dell’autore è scarso se non assente, e ciò lascia il racconto alle immagini evocate dal testo, ben più forti di quelle disegnate da un Alan Langford che non ha più molto in comune con quello che illustrò Sword of the Samurai e Creature of Havoc. Come libro in sé e per sé, dunque, Spellbreaker è di grande qualità e dimostra un buon lavoro di ricerca dietro a temi, nomi, scenari, immagini, attingendo tanto dalla storia reale quanto dal ricco repertorio fantasy creato dai suoi predecessori.
Ma. C’è un ma, anzi, ben più di uno. Se i modelli di Green per la storia sono senza dubbio quelli giusti, lo stesso non si può dire per il gioco. Sotto questo aspetto Spellbreaker perde moltissimi punti, a causa di scelte di design che rendono la vittoria finale assai improbabile, se proprio non vogliamo dire impossibile. Il true path non è un problema: diversamente da tanti altri Fighting Fantasy, in questo numero 53 non è difficile trovare informazioni che permettono di intuire in anticipo la strada da prendere al bivio. Per esempio, benché dopo la città iniziale si possano imboccare due percorsi separati, io non ho mai dubitato di quale fosse quello giusto, perché numerosi indizi mi spingevano già in quella direzione; l’altro sentiero non so nemmeno che cosa contenga, perché non l’ho mai esplorato e nemmeno avrei dovuto farlo. Per quanto concerne la direzione generale, quindi, Spellbreaker non costringe ad andare alla cieca: questo è un grosso aiuto, perché se ci si è persi qualcosa, almeno si sa su che strada trovarlo.
Tuttavia non manca una buona quota di scelte la cui necessità si scopre solo in modo retroattivo, quando ci manca un oggetto e o non l’abbiamo mai sentito nominare prima, o abbiamo avuto l’occasione di prenderlo ma non abbiamo potuto/voluto farlo. Quest’ultima evenienza ha come esempio lampante il mercato della prima città: dobbiamo comprare degli oggetti precisi, ma i soldi non permettono di comprare tutto, e anzi a dire il vero potrebbero perfino non bastare per le cose essenziali, perché il denaro con cui partiamo è deciso dal dado, e lo stesso vale per le eventuali cifre aggiuntive guadagnabili in città, decisive. In sostanza, se non partiamo con la cifra massima e non superiamo una prova di Abilità, dovremo ricorrere al graziosissimo giochino Eclipse: si vince solo per pura fortuna e richiede un mucchio di tempo e di carta e penna per monitorarne la (lunga) evoluzione. Nella pratica è facile che uno si stufi molto prima di finire la “partita”.
E magari la pura fortuna servisse solo in questo caso! In realtà in Spellbreaker ci sono parecchi lanci di dado che devono riuscire, altrimenti si muore subito o, peggio, molto più avanti. Di solito questi lanci mettono alla prova la Fede, un punteggio che parte da 1 e aumenta compiendo buone azioni. Bene: già nella prima città c’è un tiro con il 50% di probabilità, e se questo riesce, allora guadagniamo 2 punti di Fede e abbiamo una probabilità su tre di superare la prova successiva, che nasconde un oggetto irrinunciabile. Due tiri di questo tipo, di difficile riuscita, che tarpano le ali al giocatore praticamente all’inizio, non sono tollerabili: è chiaro che, appresene le conseguenze, il lettore è invitato a barare nelle partite successive. Lo stesso vale per un odioso tiro che si trova in seguito, in cui se fai 1-3 con un dado muori, così, gratis.
Ma i tranelli della cittadina di inizio gioco non finiscono qui: c’è un altro oggetto vitale che si può trovare solo se un certo combattimento dura per più di dieci turni. Peccato che i due avversari in questo duello abbiano Abilità 7 e 8, mentre le battaglie successive dimostreranno chiaramente che partire senza Abilità 11 (ma farei anche 12) non permette di finire l’avventura. Con una simile Abilità iniziale, quanto è probabile far durare questo duello così a lungo? Pochissimo, e le conseguenze le potremo intuire solo molto, molto più avanti, quando ci verrà richiesto qualcosa che non abbiamo la minima idea di dove sia. In generale non trovo che le scelte in Spellbreaker siano controintuitive, ma quella di perdere questo combattimento lo è senz’altro, così come lo è quella in cui dovremo decidere su quale bersaglio usare un oggetto, tra una lista di sei: impossibile saperlo senza essere già passati di lì e aver fallito una volta. Questo tipo di conoscenza a posteriori non è certo una novità in Fighting Fantasy, ma in Spellbreaker è particolarmente fastidiosa: da un lato perché, per il resto, gli indizi su che cosa fare abbondano, e dall’altro perché viene sfruttata in modo diverso da come fa, per esempio, Ian Livingstone. In un libro di Livingstone l’errore si scopre o immediatamente (pensi che un oggetto ti serva, lo raccogli ed è invece nocivo), oppure entro tappe ben intervallate. Nel volume di Green, invece, la maggior parte delle scelte cruciali va fatta all’inizio e l’esecuzione è verificata quasi alla fine, e poi il successo delle prove iniziali dipende da lanci di dado che cumulativamente hanno poche probabilità di riuscire: calcoli altrui mi dicono che quei tre tiri sopra descritti lasciano solo un 8% di riuscita, e se ci aggiungiamo il famoso combattimento, che è quasi impossibile…
Tutto ciò accomuna Spellbreaker a Crypt of the Sorcerer, ma con il libro di Livingstone fui e rimango indulgente per alcuni motivi: era un vero unicum sotto questo aspetto, e le probabilità di finirlo onestamente sono così risibili che il giocatore si sente moralmente in diritto di ignorarne molte delle assurde pretese. Con Spellbreaker non posso essere altrettanto comprensivo, prima di tutto perché quei maledetti check sono pochi e quindi a barare ci si sente solo in colpa, e secondo perché, appunto, dopo un precedente come Crypt non è concepibile che un autore caschi in errori simili. Quei lanci di dado, e l’esagerato ricorso al Tenta la Fortuna, sono leggerezze tanto più imperdonabili quanto più è evidente che l’autore ha fatto dei calcoli precisi nell’attribuzione dei punti in varie parti dell’avventura. Si deve concludere che le sue sono scelte deliberate, ed era sua responsabilità capire che non divertono il giocatore. Mi dispiace veramente, data la bontà della storia e l’impegno che si vede dietro alla sua realizzazione, ma il primo libro di Jon Green va considerato un fallimento.
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