Questo è il secondo libro della mini-serie intitolata "Il Regno della Stregoneria" composta da tre volumi che costituiscono però anche tre avventure indipendenti. Carr Delling, figlio dell'Arcimago Landor, dopo aver ritrovato lo Scettro del Potere scopre che avrà bisogno di ben altre armi se vorrà affrontare le potenze infernali che stanno estendendo il loro dominio su tutto il continente di Tikandia...
"La corona del mago" è il secondo volume della trilogia "Il regno della Stregoneria". Sono passati cinque anni da quando, impersonando Carr Delling, figlio dell'Arcimago Landor, siamo penetrati nella cripta della Scuola degli Arcani per recuperare il potente Scettro di Bhukod. In seguito Carr si è insediato come mago tribale ( non è piu' un lavoratore precario......) nella piccola comunità druidica di Wealwood dove l'Arcidruido Perth gli ha permesso di occupare la casa che fu di suo padre. In quella casa Landor trascorse molti anni studiando le arti magiche, riuscendo a divenire depositario dei segreti più incredibili. Si narra che la sua morte abbia sconvolto le forze stesse della natura, della vita e della morte, e che mentre veniva ucciso i defunti abbiano camminato. ( forse volevano festeggiare) Anche Carr ha trascorso questi ultimi cinque anni cercando di decifrare ed imparare i segreti di suo padre, ed il suo fisico ne ha risentito al punto che dimostra molto più dei suoi ventidue anni. (elemento che si ripercuote nel foglio d' identità) Carr ha migliorato moltissimo le sue arti magiche e il numero d' incantesimi in grado di formulare ; in quanto figlio di Landor poi, è l'unico in grado di maneggiare senza pericolo lo Scettro di Bhukod. Entrando nel gioco, Il nostro viaggio inizia con una visita da parte del vecchio amico e maestro Thayne, il quale ci narra di strani eventi che stanno verificandosi sull'isola di Seagate ed in particolare alla Scuola degli Arcani. Adesso la carica di Maestro della Scuola è occupata da Arno, una vecchia e sgradevole conoscenza. Un tipo malizioso e subdolo verso cui Carr ha sempre nutrito ostilità fin dai tempi della scuola. Sembra che egli usufruisca di un potere malefico forte almeno quanto quello dello Scettro. Inoltre, sembra che l'Arcichierico Oram e i cavalieri del Sacro Dyan abbiano abbandonato il loro tradizionale culto per votarsi, dietro intervento di Arno, ad un'entità demoniaca che indicano col nome di Pazuzu. Affiancato nuovamente da Dalris e dal piccolo pseudodrago Rufyl, dovremo scoprire che cosa sta succedendo e impedirlo. Ancora una volta ci troveremo a dover fare scelte difficili, poiché il desiderio di conoscere la verità sul mistero che circonda Landor potrebbe indurre a l'eventualità di mettere in secondo piano la missione....... La continuità narrativa di questo libro è inesistente. E' strapieno di morti ingiuste,imprevedibili e prive di senso. Addirittura se si prende una certa direzione dell' avventura si puo' tentare tutto ma finisce in tutti i casi male. Sembra un errore dell' autore. Se non è cosi' è un cretino lui. Meriterebbe qualche lode soprattutto per la vastita' d' incantesimi ( un paragrafo tutto per loro) ma...... sono utilizzati in maniera idiota! Esempi? Beh a un certo punto il nostro prodigioso mago riesce a sbagliare le formule piu' semplici e nel percorso sensa soluzione si butta da un tetto utilizzando l' incantesimo volo ( e dicendo "volare! volare! ") e...... si sfracella al suolo..... sembra di essere in un cartone animato Warner. Per non parlare dei rapporti con gli amici . Fai la cosa giusta ma non va bene perchè dovevi informare il bardo. Usi una potente magia e si è troppo cattivi. Fai troppo ricorso alla magia e il bardo ti da' del vigliacco perchè ti ripari sempre dietro a quella ( e il nostro fesso si mette a combattere a bastonate per dimostrare il contrario). In compenso il nostro avversario ci prende sempre per i fondelli ( e lui la magia la usa bene! ) Orrendo. Da prendere solo per collezione.
Interattività (cioè quanto il LG sfrutta le potenzialità a sua disposizione): 2 Stile di scrittura (quanto l'autore sa coinvolgere per qualità letteraria): 2 Ambientazione (quanto l'autore sa coinvolgere per la ricchezza dei luoghi e dei fatti):4 Bilanciamento (equilibrio tra le regole e l'effettiva difficoltà): 1 Grafica: 7
Il volume di mezzo della mini-serie “Il regno della stregoneria” svolge la classica funzione de L’Impero colpisce ancora, ovvero presenta delle situazioni drammatiche e conflittuali che mettono in scena tutti i personaggi e gli eventi ancora da presentare, per poi lasciare la storia in sospeso prima dell’inevitabile scontro finale che concluderà la saga. A prescindere da quanto successo abbia avuto con gli incantesimi nel primo volume, Carr Delling ha ottenuto i libri di suo padre e si è dedicato anima e corpo allo studio, trascurando la propria salute come ci si aspetta da un vero mago. Ecco quindi che la sua lista delle magie si è ingrandita a dismisura, ma la sua Destrezza ed Energia Vitale si sono ridotte, e ironicamente Carr non dispone nemmeno più di un punteggio d’Esperienza. E forse è giusto così, perché la sua avventura gli dimostrerà di non essere affatto all’altezza della grande minaccia che incombe su Tikandia, rappresentata dal suo vecchio rivale della Scuola degli Arcani e da alcuni suoi alleati demoniaci.
Forse conscio della struttura conflittuale de Lo Scettro del Potere, dove ogni evento era facoltativo ai fini del gioco ma obbligatorio per una narrazione completa, Morris Simon ha deciso per La Corona del Mago di organizzare il volume in modo totalmente opposto, introducendo qualcosa di impensabile per un librogame basato su un gioco di ruolo: un true path. E’ assolutamente necessario che il giocatore affronti l’avventura seguendo un percorso corretto, quello che lo condurrà ad incontrare tutti i personaggi e ad assistere a tutte le scene che comporranno il quadro completo della vicenda. E questo percorso va scoperto per tentativi, perché in verità non c’è nessun vincolo che impedisca a chi legge di recarsi troppo presto in un punto avanzatissimo del gioco, nell’arco di pochi paragrafi, per poi morire a causa di requisiti non soddisfatti. La scoperta della strada giusta non è nemmeno ovvia, perché i consigli degli alleati di Carr si rivelano puntualmente fuorvianti, specialmente quelli di Rufyl, che ci induce facilmente a dubitare di luoghi e persone che invece sono essenziali.
Tuttavia credo che questa impostazione faccia più bene che male al libro. Oltretutto non pregiudica nemmeno la libertà delle scelte: la storia è strutturata in blocchi narrativi, che vanno affrontati in un ordine rigoroso, ma che al loro interno permettono di compiere diverse decisioni sensate e tutte valide per il prosieguo degli eventi. Si muore se non si è attraversato il blocco A prima del blocco B, ma all’interno del blocco A non necessariamente si muore se si affrontano i nemici invece di darsela a gambe subito. Il gioco di ricostruzione del puzzle è intrigante, e anche una strada sbagliata può comunque portarci a scoprire delle cose interessanti prima di eliminarci. L’unica cosa che non approvo è che alcuni prerequisiti siano poco logici: c’è un punto del libro dove un certo personaggio dovrebbe conoscermi ugualmente, a prescindere dalla direzione da cui sono arrivato, ma per qualche ragione non è così, e le conseguenze sono fatali. A parte piccole eccezioni di questo tipo, il sistema dei checkpoint è organizzato bene e non ci sono i problemi di consequenzialità che affliggevano Lo Scettro del Potere.
La Corona del Mago è sicuramente più giocabile del suo predecessore, grazie anche a lanci di dado molto più permissivi, sia come punteggi richiesti che come conseguenze; inoltre, se si fanno le scelte più conservative, non c’è nemmeno da tirare i dadi molte volte. La cosa che però trovo inaccettabile è che in una serie intitolata “Il regno della stregoneria”, avente come protagonista il figlio di un arcimago, la magia non venga praticamente mai usata! C’è tutta questa lunga lista di incantesimi, addirittura ci possiamo procurare degli ingredienti, ma niente, non c’è occasione di sfruttarla, e anzi, se ci si trova ad usare una magia significa certamente che non si sono fatte le scelte migliori! Non c’è prova migliore di questa a dimostrare che Morris Simon ha voluto prima di tutto scrivere un piccolo romanzo, e solo successivamente ha cercato di implementarci degli elementi di gioco di AD&D, purtroppo in modo molto più teorico che pratico. Sembra quasi che l’autore abbia avuto un master particolarmente bastardo nelle sue sessioni di AD&D e abbia voluto trasporre nei librogame tutte le ingiustizie a cui è stato sottoposto (“Hai trasformato il tuo draghetto in un drago-tartaruga sulla nave! La nave è affondata!”, oppure “Hai colpito la manticora troppo forte! L’hai ammazzata e ora non puoi più usare l’aculeo per gli incantesimi!”). Mal comune mezzo gaudio, insomma…
Titolo originale: The Sorcerer’s Crown Autore: Morris Simon Anno: 1986 Illustrazioni: George Barr Copertina: Clyde Caldwell Traduzione italiana: Saulo Bianco (1990)
Dopo aver constatato la deleteria dispersività de Lo Scettro del Potere, Simon ha scelto di strutturare in modo opposto il secondo episodio della sua miniserie, ripristinando l’eccesso di rigidità già visto ne I Prigionieri di Pax Tharkas. Stavolta però ha sfornato un librogame scadente come pochi, in cui è difficile individuare l’unico percorso vincente a causa delle tremende forzature con cui stronca il giocatore. La Corona del Mago risulta infame nella sua illogicità, probabilmente nata per errori marchiani e scelte palesemente errate.
Non c’è alcun segno di autocritica da parte dell’autore, che rinnega la forma utilizzata nel volume precedente eppure insiste a rievocare eventi che possono anche non essere accaduti. Il registro dell’avventura trascorsa si può tranquillamente gettare, perché va generato da zero nonostante si controlli sempre Carr Delling, solo un po’ invecchiato. Questa è una costante della trilogia, che non prevede un vero e proprio avanzamento del personaggio.
Cinque anni dopo il ritrovamento dello Scettro di Bhukod, il protagonista è ospite del druido Perth e di sua figlia Dalris, che gli hanno messo a disposizione la vecchia capanna dove Landor conduceva i propri esperimenti. Mentre lui se ne sta nella foresta a baloccarsi con le manticore, il rivale Arno è intento a conquistare Tikandia grazie all’aiuto del possente demone Pazuzu. I Cavalieri del Sacro Dyan, un tempo guardiani della città di Saven, hanno giurato fedeltà ad Arno e sono pronti a marciare contro l’Isola di Seagate. L’elfo Thayne giunge con queste pessime notizie a scuotere Carr Delling dall’accidia, così potrà mettere a frutto le superiori conoscenze magiche apprese dai manoscritti paterni.
Questa è l’aspirazione del lettore, platealmente disattesa. Gli incantesimi si usano di rado e sono sempre inutili, così come lo Scettro di Bhukod, che Carr può portare con sé al massimo per fargli prendere un po’ d’aria. Si ha l’impressione che Carr sia un autentico dilettante, inadeguato in ogni situazione, ma la colpa è esclusivamente dell’autore e del suo assurdo modo di intendere il gioco e l’impiego della magia. D&D permette di gestire liberamente le capacità del PG, mentre in questi “librogame” è tutto pilotato, limitato e proditorio. A che serve essere maghi di alto livello, se gli avversari sono demoni, semidei e maghi più potenti di noi?
La missione consiste nel cercare informazioni su Arno e la fonte del suo potere, in compagnia dell’insopportabile Dalris e del gentile pseudodrago Rufyl, una sorta di famiglio tuttofare del nostro mago. In apparenza si può affrontare l’avventura come meglio si crede, ma dopo un paio di tentativi andati a vuoto salta fuori l’inghippo: i luoghi vanno visitati in un ordine ben preciso e le scelte devono essere sempre corrette. Sbagliare significa morte istantanea, o procrastinata di qualche paragrafo, in virtù del supremo odio dell’autore per la brevità. Mi permetto di segnalare che ad un certo punto si incontra un maride, una specie di genio onnipotente, il quale risponde ad una domanda di Carr e gli regala una pillola di conoscenza. Tutte le domande sono ragionevoli e le risposte utili e sensate, ma una grossa sorpresa attende l’ignaro lettore.
Al paragrafo 106 il librogame compie il suicidio rituale, trasformando una vicenda globalmente sensata in una panzana colossale. Vengono proposte le stesse alternative del paragrafo 137, che corrisponde alla scelta (sbagliata) di recarsi subito a Seagate, tuttavia mascherate con frasi inerenti alle conoscenze accumulate sul nemico. Ciò che è ridicolo è il modo in cui vengono proposte, soprattutto quella che dice “se conosci la storia di due corone di diamante vai all’80”. Non sembra esserci scelta se il maride ci ha raccontato quella storia; il problema è che da quelle parti è in agguato la morte, che raggiunge Carr Delling in un modo troppo balzano per non essere raccontato.
In mezzo ad un deserto Carr s’imbatte in un paladino in uniforme che sta per essere attaccato da una creatura strampalata. Se interviene, lo pseudodrago lo informa che l’essere è quell'ubriacone di Thayne reincarnato in uno gnomo svirfneblen. Il mago lo saluta e il paladino uccide il mago, perché non è sbarcato a Delmer o Freeton. Alt. Quel paladino è Garn, che aveva aiutato Carr e Dalris a Saven; ma non è in grado di riconoscere il mago che ha visto in città pochi giorni prima? Ed è possibile che nello stesso punto di una grande isola si incontrino 4 persone che si conoscono, e per qualche pretestuoso motivo possano ammazzarsi? Nemmeno un bambino potrebbe tollerare una simile conduzione della storia. È evidente che c’è un nugolo di errori di cui non si intravede neppure il principio, attribuibile ad uno scrittore alle prime armi e non certo a Morris Simon, autore di prestigiose “trilogie”. Ma questa è la realtà: idee fuori posto e scarsa cura nella concatenazione.
Sebbene la storia risulti interessante a tratti, la totale passività cui il giocatore è costretto non permette di apprezzare alcunché. I paragrafi sono troppo lunghi e pieni di gratuiti battibecchi con Dalris, che in quest’avventura assume il ruolo della narratrice a comando, una funzione accessoria e stupida che mortifica la classe del bardo, presente nel gioco di ruolo. Questo fiume di parole non contiene nulla di stimolante e nel complesso annoia. L’unico flebile miglioramento è nella grafica; per il resto si tratta di un lavoro concepito malamente e portato a termine nel peggiore dei modi.
Ambientazione: 7 Stile di scrittura: 6 Bilanciamento: 5 Interattività: 1 Aspetto grafico: 6
Dopo 5 anni alla conclusione de: "Lo Scettro del Potere", Carr Delling, il mago piu' scarso che io abbia mai visto si cimenta ne: "La Corona del Mago". Sto parlando del volume n°8 della serie. Ebbene si narrativamente parlano e' passato un lustro, e una nuova missione attende il babb...emh, il protagonista. Premettendo che voglio capire cosa passava per la mente all'autore, non solo alcuni incantesimi, fanno dei fail ciclopici, ma anche il cast di supporto del protagonista, peggiora. Thayne, si comporta da ubriaco fesso e non da maestro dell' eroe, lo pseudodrago da consigli che piu' sbagliati non si puo' e infine quella che sarebbe la tua migliore amica ti insulta, ti tratta male e ha manie di grandezza. Wow, che bel quadretto... In piu' se non incontri il maride, che non ti spiega cosa sta succedendo, non riesci a combinare un bel niente. Mah! La trama se c'e', lasciamola stare, perche' devi visitare un posto nel momento giusto, altrimenti muori, non mi pare che sia il modo giusto per invogliare i lettori a appassionarsi a questo libro... Veste grafica: come il libro precedente, le illustrazioni salvano un pessimo lavoro. La copertina infatti e' una delle migliori che abbia mai visto e rende l'idea su cosa ci aspetta.