Una banda di ragazzini scatenati ficca il naso dovunque ci sia qualcosa di losco. E tu? Hai abbastanza fiuto per seguire gli indizi disseminati nella storia? Devi fare attenzione alle illustrazioni, devi prendere nota di tutti i particolari, devi entrare anche tu nel Detectives Club.
In questo libro il protagonista sei tu. Buona fortuna, amico detective...
Detectives Club è in pratica la versione interattiva dei tipici “gialli per ragazzi” anni ’70. La serie ha per protagonisti una banda di ragazzini: Casey Peters, figlio dell’ispettore e ‘di conseguenza’ capo del gruppo; e i tre fratelli Pancetta, ovvero James, Bodger e Fagiolina. Ogni libro viene narrato, in prima persona e in tempo passato, dallo stesso Bodger. Il ruolo del lettore non è perfettamente chiaro, in quanto non si identifica con Bodger, ma assume più che altro il ruolo di osservatore esterno, come lo spettatore di un poliziesco che venga invitato a esprimere le sue opinioni su quel che sta per accadere, in base a ciò che ha letto e visto. Questo è il fondamento del sistema di gioco, e in definitiva la maggiore falla di Detectives Club.
C’è in effetti molta confusione nel modo in cui il gioco viene infilato all’interno del racconto. L’avventura non può avere termine prematuramente, perché non esistono situazioni di morte o fallimento, e bloccarsi è impossibile. C’è solo un punteggio finale che valuta l’abilità del lettore nel risolvere gli enigmi, ed esiste un unico finale; si capisce quindi che, a prescindere da quanti punti si siano ottenuti, una volta finito il libro rigiocarlo non ha senso. Non si capisce il perché di una struttura così rigida; la giovane età del lettore target non è una scusante, visto che la struttura di Scegli la tua avventura è molto più articolata ed il tono generalmente meno politically correct.
Le avventure funzionano così: alla fine di ogni paragrafo narrativo viene posta una domanda su ciò che qualcuno dei personaggi ha visto o compreso nel corso degli eventi. La soluzione va cercata nel testo o nelle illustrazioni, e man mano che si va avanti appaiono domande che fanno riferimento anche a paragrafi visitati in precedenza, quindi c’è da mantenere un certo livello d’attenzione. La parte più interessante è probabilmente quella in cui viene chiesto di trovare qualcosa in un’illustrazione, perché offre il maggior livello di coinvolgimento. Tutto questo però solo in teoria, perché i disegni di Terry McKenna fanno schifo. Lo stile è così grezzo e confuso che potrebbe esserci un cammello che passa nella cruna di un ago e lo si scambierebbe per un cavallo che infila il collo nella cavezza. In alcuni disegni posso giurare che è assolutamente impossibile capire che cosa si sta vedendo o che cosa si deve cercare. Inoltre la rappresentazione dei personaggi, a metà tra fumetto e disegno da giallo alla Nancy Drew, li fa apparire come un gruppetto di straccioncelli sporchi e sfigati usciti dai bassifondi di una metropoli inglese. Vero è che la cosa si adatta benissimo a Bodger, che è il piccolo scemo del gruppo sempre intento a farsi sfuggire una parola di troppo o a sparare ipotesi assurde su quello che sta succedendo… Sempre a proposito dei disegni, una cosa interessante è la presenza di piccoli rebus illustrati che i membri del Club usano per comunicarsi dei messaggi in codice: questi disegni sono stati tutti adattati per il lettore italiano, e per lo più funzionano, anche se a volte la loro logica lascia veramente perplessi.
Ci sono degli enormi problemi che impediscono alla serie di essere molto migliore. Innanzitutto la logica che soggiace alle domande: in alcuni casi si tratta di puro ragionamento, ma in altri sembra di leggere Detective Conan o di essere nei panni dell’avvocato Phoenix Wright, costretti a leggere nel pensiero dell’autore cercando di indovinare una risposta il cui unico senso sta nel fatto che le altre hanno meno senso ancora. E a causa di ciò si perdono punti, e la questione del punteggio è il secondo problema. Se si sbaglia risposta, se ci si avvale di un suggerimento o se non si capisce dove il racconto voleva arrivare, si ricevono meno punti; ma non sempre l’attribuzione del punteggio è perfettamente coerente con le scelte fatte, e quindi a volte ci si sente fregati e altre volte graziati senza motivo, quasi come se l’autore non avesse voglia di stare a elencare tutte le possibilità. La cosa più stupida è il fatto che si possa procedere anche se non si è capita per nulla la faccenda: a volte si azzecca la risposta giusta, il libro dice: “Esatto! Ma perché?”, e poi ti manda subito al paragrafo successivo quando magari non hai ancora capito niente, col risultato che ti becchi 0 punti e sei piuttosto confuso sull’accaduto. C’è una grande stonatura tra il flusso ininterrotto della storia e la possibilità di andare avanti anche se non si sta per niente partecipando all’indagine. Infine il dettaglio più pacchiano: se si compie un errore particolarmente clamoroso, il personaggio riceve una torta in faccia, in un disegno in cui spesso sembra venire ricoperto da tutto tranne che da una montagna di panna…
Detectives Club non è poi una brutta serie di librogame, se si chiude un occhio sulle orripilanti copertine italiane con la mano/pistola guantata sullo sfondo di una tappezzeria che stonerebbe nella cuccia del cockerino di una vecchietta inglese daltonica. L’impostazione c’è, lo stile non è male, certe idee sono interessanti, ma manca una coesione tra il tutto, una realizzazione che possa rendere la formula vincente e più interessante anche per il lettore meno giovane. Niente di esaltante quindi, ma niente da buttar via, e c’è anche una versione italiana di tutto rispetto, con solo un paio di incertezze.
Titolo originale: Solve it Yourself Autore: Martin Waddell
Se avete meno di 9 anni e siete dei ficcanaso col pedigree, questa è la serie di librogame che fa per voi. In caso contrario siete fuori dal target di età massimo di Detectives Club, l’unico prodotto destinato esclusivamente ai bambini nella collana E.Elle. La scelta di pubblicare questi “gialli interattivi per ragazzi” firmati Martin Waddell non si può considerare sbagliata, tuttavia il bacino di utenza dell’epoca d’oro richiedeva perlopiù avventure fantasy, analoghe a quelle dei giochi allora in voga. In Italia Detectives Club non ottenne mai uno spazio di rilievo ed i numeri si fermarono a quattro, nonostante fossero state proposte delle ristampe.
In originale questi volumetti erano otto e si intitolavano Solve It Yourself, ad esprimere chiaramente che c’è un piccolo mistero da risolvere tra le pagine e che chi ce la fa da solo è premiato. Martin Waddell ha unito il giallo illustrato al librogame di prima generazione, ottenendo una struttura peculiare, anche se poco stimolante: ci sono paragrafi assai lunghi in cui viene narrata la storia e sono presentate informazioni, nascoste nel testo o nelle immagini. Al termine del brano è inevitabilmente posta una domanda e per indovinare la risposta sono necessarie varie doti, presenti più nei ragazzi che negli adulti: intuito, percezione e soprattutto una visione distorta della realtà. Non sono realismo e buon senso a dominare le indagini, bensì fantasia, colpi di scena e trovate alla Sherlock Holmes in versione demenziale, nate da una sensibilità infantile e perciò abbastanza ridicole per il lettore adulto.
Waddell è abilissimo a creare un’atmosfera comica e divertente, narrando le vicende da una prospettiva volutamente puerile ed avulsa dalla realtà. Gli eroi dei suoi racconti interattivi sono quattro ragazzini pieni di idee strambe, coraggiosi ed intraprendenti: il loro sodalizio dà vita alla Mystery Squad, “Club dei Detective” nella versione italiana, ossia un gruppo di investigatori-bambini alle prese con casi apparentemente irrisolvibili. I quattro sono Casey Peters, figlio ed emulo di un ispettore di polizia e per questo capo del Club; James Pancetta (Bacon?), esperto tecnico del gruppo; suo fratello Bodger, custode del M.T.S. (Materiale Top Secret) e per questo narratore dei racconti; sua sorella Fagiolina (Beanie?), definita la pazzerella del gruppo ma spesso impegnata in “missioni in solitario”. Questi ragazzini col pallino del detective vivono in un mondo tutto loro, fatto di misteri che aspettano solo di essere risolti e di individui loschi che cercano di fregarli, perché hanno paura di un pugno di piccoli curiosoni.
L’autore presenta dunque il mondo come è visto dai bambini, nella fattispecie quello del crimine ma anche i rapporti tra di loro. La ragazzina è costantemente presa in giro anche se è più sveglia di tutti, mentre Bodger assume il ruolo del fanfarone esaltato, spesso zittito dai “grandi”, Casey e James. I casi da indagare sono talmente strampalati da non stare in piedi, eppure nella prospettiva distorta del Club dei Detective tutto sembra ovvio e consequenziale. Meno immediata la soluzione di alcuni enigmi, soprattutto quelli che includono una componente grafica. Il disegnatore Terry McKenna non ha certo la mano ferma e le sue tavole sembrano schizzi tracciati alla svelta, dove non si riesce a distinguere un mozzicone di sigaro da una pietra. Memore di altri adattamenti da parte di E.Elle, non escludo che le immagini siano state ridotte per risparmiare spazio e che certi particolari siano divenuti invisibili; di certo le illustrazioni non sono fatte bene e a volte l’indagine si arena a causa loro.
Comunque non si resta mai bloccati: ciascun librogame offre indizi supplementari e consente anche di tirare a indovinare, salvo poi penalizzare chi sbaglia o non si impegna. L’unica regola consiste nel segnare i punti ricevuti per le risposte giuste: il totale si traduce in un voto, individuato su una tabella denominata Sherlock Notes. Una partita è sufficiente a svelare ogni segreto, quindi non ci sono stimoli per ritentare l’avventura e migliorare il punteggio. Commettere un errore non indirizza su percorsi alternativi e peggiori, ma si traduce in perdite di punteggio. L’unica amenità che spezza la monotonia è costituita dalle “torte in faccia”, ma queste si beccano solo se si compiono grossolani errori di valutazione.
Dal quadro emerge una serie destinata ai bambini proprio per come è scritta, cioè da un punto di vista infantile. Un lettore maturo può farsi qualche risata leggendo le ingenuità e l’atteggiamento megalomane di questi bambocci con la stoffa del detective, salvo poi imprecare perché si è distratto e ha sbagliato la risposta. I difetti non mancano, però Detectives Club non è un prodotto privo di senso ed attrattive; il problema è che interessa una fascia d’età ristretta ed oggi i bambini abbandonano certe fantasie prima dei coetanei degli Anni Ottanta, quindi non so se attualmente esista ancora un pubblico. Alla scarsa longevità contribuisce l’impossibilità di giocare più volte, perché ormai si conoscono le risposte esatte. Questo problema affligge tutti i librogame polizieschi, che per loro stessa natura si esauriscono una volta risolto il caso, per cui nulla di nuovo sotto il sole.
Curiosità: le copertine della serie inglese hanno delle fotografie che raffigurano effettivamente i membri della Mystery Squad, anche se raramente sono gli stessi ragazzi del numero precedente. In Italia si è preferito escogitare una soluzione alternativa, proponendo le famigerate copertine con la mano guantata che mima una pistola e sullo sfondo la tappezzeria che nessuno vorrebbe avere in casa propria.
La serie è costituita dai seguenti titoli:
1) Il Messaggio del Morto 2) L’Antiquario 3) Mister Mezzanotte 4) L’Isola Misteriosa