| Categoria: Librogame E.L. - Serie Complete Blood Sword
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Titolo: Blood Sword | Valutazione: 10.00 Letture:7060 | Dave Morris, Oliver Johnson e Jamie Thomson | Un libro per giocare da soli, oppure in due, in tre, o in quattro: una fantastica combinazione di game-book, role-game e board-game
In questo libro il protagonista sei tu. Entra nel mondo di Blood Sword!
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Valutazione media:
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Data pubblicazione 26/2/2007
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Inviata da: CarlosIII il 26/8/2007 |
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Valutazione generale:
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10
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Blood Sword. Un nome, un mito. Una delle serie meglio riuscite e più appassionanti nel modo dei libogames italiani. La lista di pregi e di innovazioni introdotte in questa cospicua serie (5 volumi) è davvero lunga, e moltissimi appassionati adorano Blood Sword come un ottima alternativa alle blasonate serie di Joe Dever o di Steve Jackson; i pochi che non amano questa serie ammettono comunque che si tratta di un lavoro davvero eccellente. Le meccaniche di gioco sono estremamente elaborate e raffinate,dato che permettono di giocare la serie sia come librogame sia come Gioco di Ruolo,includendo ben quattro classi differenti da interpretare o scegliere.Si può giocare in uno o più (fino a 4 giocatori),oppure un singolo lettore può addirittura impersonare una squadra di personaggi. Inoltre ogni personaggio non è una sterile accozzaglia di punti ferita e combattività, ma ha una sua storia alle spalle (ad esempio il guerriero);tutti hanno dei ricordi e delle amicizie o conoscenze diverse in molti luoghi che visiteranno. La sezione combattimento è interessantissima, anche se complessa; prevede l'uso di minimappe dove è possibile fare azioni molto varie, movimenti inclusi.I nemici ed i giocatori sono rappresentati da lettere sulla minimappa di ogni scenario di combattimento. La sezione di magia è notevolmente originale: i maghi dispongono di una serie di magie tra cui scegliere,e per lanciarle devono semplicemente concentrarsi (cosa non facile), senza che ci sia un punteggio di magia o "potere". I sortilegi sono quasi tutti utilissimi. Il regolamento di combattimento presenta alcuni punti non molto chiari, forse per errori di traduzione o forse per sviste degli autori,ma un qualunque appassionato può adattare le regole alle sue esigenze come meglio crede. Il bilanciamento è discreto; più giocatori ci sono , più ogni personaggio è inesperto (e quindi ha meno punti ferita,meno abilità ecc...), mentre un avventuriero solitario è sempre molto potente. Su questo punto il bilanciamento non è perfetto, dato che tre o più personaggi sono (a mio parere)davvero un pò troppo deboli. Alla fine di ogni avventura vengono concessi dei punti esperienza per fare progredire ogni personaggio. Le ambientazioni sono magnifiche, senza eccezioni. Gli scrittori si sono basati su una grande conoscenza in campo di mitologia classica e fantasy, ma anche di storia; alcune ambientazioni,come il medio oriente dei crociati, oppure il regno glaciale del nord, sono così coinvolgenti che sembra davvero di vivere l'avventura in prima persona. Oltre ad elementi classici ci sono molti mostri, personaggi e situazioni ideate dagli autori, evitando del tutto stereotipi e clichè triti e ritriti, rendendo ogni avventura accattivante e meritevole di essere giocata più e più volte. Nulla da dire neppure sulle illustrazioni,sempre impeccabili e magistralmente adatte in ogni contingenza. In sostanza Blood Sword è una serie veramente speciale,consigliata a collezionisti e non; poco adatta a chiunque gradisca regole semplici e veloci. Un capolavoro sotto molti aspetti, se non proprio tutti.
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Inviata da: Gurgaz il 2/1/2008 |
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Valutazione generale:
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10
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Titolo originale: Blood Sword Autori: Dave Morris, Oliver Johnson e Jamie Thomson Illustrazioni: Russ Nicholson Copertine: Russ Nicholson e Danny Flinn
Mentre mi accingo a parlare di Blood Sword so di addentrarmi in un ginepraio. Si tratta di una delle serie più conosciute ed amate tra quelle edite in Italia, nonché di un prodotto rivoluzionario nell’ambito dei librogame che si distingue anche per la buona qualità. È facile ammettere Blood Sword nella hall of fame dei migliori librogame, mentre l’argomentazione di questa decisione è più ardua e controversa, visto che la serie è troppo articolata per prestarsi a rigide categorie di valutazione, dotate di vane pretese di oggettività.
In primo luogo vorrei porre l’accento su ciò che spesso passa in secondo piano: la storia e l’ambientazione di Blood Sword. In base al numero di volumi e soprattutto a quello delle pagine, si tratta della saga più ampia prodotta nell’universo dei librogame, fatta debita eccezione dell’enorme serie Lupo Solitario. Molto spazio è occupato dalla gestione delle meccaniche, tuttavia gli autori (in particolare Dave Morris) sono ben consapevoli che il librogame deve essere piacevole da leggere, oltre che da giocare. Su questo aspetto la serie non ha punti deboli, nemmeno nel primo capitolo in cui non si intuiscono ancora i presupposti per una saga; ogni volume aggiunge tasselli preziosi, siano essi ambienti, personaggi, miti e leggende, liberamente attinti dal patrimonio storico e culturale dell’umanità.
Questo mondo fantasy che pare un collage ricorda da vicino i romanzi di Conan il Barbaro, eroe mitologico quanto i protagonisti di Blood Sword, ma trae ispirazione da tutte le fonti possibili, tra cui la saga di Elric di Melniboné. Non è solo la presenza di due spade gemelle a far pensare ai racconti di Moorcock, ma anche l’instancabile antagonista Icon l’Empio, una figura che ricorda un altezzoso melniboneano, o uno stregone di Pan Tang. Morris e Johnson non si accontentano della forza del mito e del fascino della filosofia, ma vogliono anche fede, speranza e carità. Dal terzo volume in poi si fa vivo il tema della Vera Fede, specchio del Cristianesimo, e il recupero della spada Blood Sword diventa una missione sacra per salvare il mondo dall’eterna dannazione. Sebbene sia in atto una lotta serrata tra Bene e Male, la trama non lascia trapelare una concezione manichea; al contrario, il mondo di Blood Sword offre le stesse ambiguità della società umana, per cui c’è spazio per posate riflessioni su temi quali sacrificio, devozione, tolleranza religiosa e libero arbitrio. Il fatto di trattare argomenti profondi all’interno di una saga librogame, tra l’altro magnificamente scritta, è già sufficiente ad annoverare l’opera tra le più ardite ed influenti nel suo genere. Ma non è certo finita qui.
Il secondo pregio di Blood Sword è la struttura, caratterizzata dal perfetto impiego del formato librogame e dall’invenzione di espedienti rivoluzionari ed estremamente efficaci. La serie può essere giocata da soli con personaggio singolo, da soli come uomo-squadra (con tutti e quattro i personaggi) o in più giocatori, fino ad un massimo di quattro. Sono previsti quattro tipi di Avventuriero: Guerriero, Ladro, Saggio e Stregone, ciascuno dotato di un proprio bagaglio di Abilità Speciali e di determinati pregi e difetti. Più che sulle Abilità finalizzate al combattimento, vale la pena soffermarsi sulle scelte esclusive che i volumi riservano a questo o a quell’altro Avventuriero. Ciascuno ha il suo modo di affrontare le situazioni: lo Stregone può convocare un demone servitore, lanciare l’incantesimo Predizione o Rivela-Incantesimi; il Saggio può esorcizzare gli spiriti malvagi, legge nel pensiero ed è un esperto conoscitore di usanze, miti e leggende; il Ladro è un truffatore matricolato, che ne sa una più del diavolo; il Guerriero è il meno sfruttato sotto questo punto di vista, poiché i suoi problemi li risolve combattendo o facendo sfoggio della sua forza, ma anche lui ha conoscenze che possono tornare utili. Di volta in volta il giocatore (o il gruppo di giocatori) può scegliere se offrire ad un singolo personaggio l’opportunità di risolvere il problema a modo suo. Le conseguenze non sono facili da immaginare, tuttavia questa impostazione raddoppia il ventaglio di soluzioni per la medesima situazione. Un’altra novità è l’introduzione dal terzo volume delle Parole in Codice, un sistema efficacissimo per tener conto di una scelta compiuta o di un fatto accaduto. Di solito nei librogame è un oggetto a testimoniare un’azione o un passaggio, ma risulta limitante se si vuole mantenere il realismo in termini di oggetti trasportati. Le Parole in Codice sono trascritte sulle schede dei giocatori e richieste a tempo debito, quando aver compiuto o meno un’azione porta a conseguenze diverse. Con questo semplice metodo si evitano le affascinanti ma macchinose aggiunte/sottrazioni di un numero a quello del paragrafo; inoltre, si può fare a meno di sovraccaricare i personaggi di oggetti, come avviene ne Il Regno di Wyrd, indubbiamente difficile da terminare con un solo Avventuriero.
Il terzo aspetto peculiare di Blood Sword è il regolamento, l’aspetto più difficile da analizzare. Il motivo è l’ampiezza e la complessità dello stesso, poiché si tratta di una versione ridotta e semplificata di Dragon Warriors, un gioco di ruolo creato dagli stessi autori della serie. Ciascun volume contiene una trentina di pagine di regolamento, di cui circa la metà è dedicata ad avanzamento ed Abilità Speciali dei vari Avventurieri, ciascuno dotato di un punteggio di Combattività (utilizzata per attaccare), Intelligenza (determina l’ordine di azione), Energia Mentale (utile a lanciare gli incantesimi e per resistervi), Energia Vitale (la solita riserva) e Danno (inflitto in combattimento). Tutti questi punteggi variano a seconda dell’esperienza del personaggio, espressa dalla sua Classe. Sono presenti anche altri elementi classici del gioco di ruolo: il round di combattimento (Tempo) e il concetto di Azione, che contempla attacchi corpo a corpo e a distanza, incantesimi, fuga e difesa (si rinuncia all’attacco per abbassare le probabilità di essere colpiti). Ciascun personaggio può portare fino a dieci Oggetti, tra cui artifici magici che migliorano le caratteristiche ed armature che offrono una certa Protezione, da sottrarre ad ogni danno subito. Si capisce quindi che gran parte delle regole è finalizzata alla gestione dei combattimenti.
A mio parere, questo regolamento crea molti più problemi di quelli che riesce a risolvere, principalmente per il fatto che presenta punti poco chiari (o tradotti in modo errato) e non trova limpida applicazione nei librogame. Infatti le regole di Blood Sword sono tuttora oggetto di dibattito, in quanto danno origine ad equivoci che a loro volta incoraggiano la libera interpretazione. Gli autori non offrono appigli abbastanza sicuri, poiché in molti casi i combattimenti proposti sono insormontabili o sproporzionati rispetto alla forza degli Avventurieri. Nasce perciò un dubbio: il combattimento è una componente essenziale del gioco, da vedere come un’alternativa più rischiosa, oppure è una punizione per aver preso una strada sbagliata? Nella stragrande maggioranza dei casi, ho avuto l’impressione che i combattimenti fossero da evitare, perché affrontarli porta alla morte certa di almeno un personaggio, ma questa eventualità non è accettabile. La squadra non può perdere un elemento in ogni combattimento, altrimenti non raggiungerà mai Le Mura di Spyte, il capitolo conclusivo nel quale i personaggi ricevono alcuni bonus che li rendono finalmente competitivi.
Ho la sensazione che l’avanzamento previsto tra i diversi librogame non sia ben calibrato. Se i combattimenti non si possono vincere, se non con personaggi di Classe più alta, vuol dire che gli autori hanno sbagliato qualcosa, oppure che nel gioco a 4 personaggi hanno previsto una sorta di percorso obbligato, un true path che per fortuna è reso meno rigido dall’impiego delle Abilità Speciali. Non può che stupire allora la presenza di pochi avversari agguerriti ed obbligatori, in particolare nel primo, nel terzo e nel quarto volume. Per cavarsela a buon mercato, il giocatore è costretto ad attuare strategie di bassa lega, come utilizzare uno o due personaggi per impegnare il nemico (il Ladro è il più indicato, data la sua alta capacità di Difesa) mentre lo bersaglia a distanza con Saggio e Stregone. Quest’ultimo può essere reso competitivo tramite le pergamene di Trasferimento presenti ne I Labirinti di Krarth, perché se non aumenta la sua Energia Mentale non è in grado di lanciare incantesimi in modo efficace. Il primo volume assume perciò un’importanza cruciale per l’intera serie, anche se dubito che gli autori lo abbiano inteso in questo modo.
Ciò non implica che Blood Sword sia sbilanciata o che il regolamento faccia acqua da tutte le parti, ma soltanto che è necessario che il giocatore interpreti e risolva le contraddizioni come più gli aggrada. Non si tratta di problemi generalizzati, come è accaduto con Fire*Wolf, ma di sviste o lacune che si possono eliminare in vari modi. È una fortuna che sia così, perché Blood Sword è una serie troppo bella e meritevole per trascurarne il ricco potenziale letterario e l’eccellente struttura a paragrafi, a maggior ragione se l’obiettivo è trovare l’interpretazione corretta di un regolamento che non ha nulla di rigoroso.
È con un invito a semplificarsi la vita che chiudo questa lunga recensione, nella speranza di aver chiarito pregi e difetti di quella che, a conti fatti, è una saga librogame tra le migliori in assoluto. Blood Sword si presta ad essere letta più volte ed ogni lettura riserverà maggiori soddisfazioni, poiché ogni percorso contiene elementi per soddisfare la curiosità del lettore. Un must nella collezione di ogni appassionato di librogame.
La serie è costituita dai seguenti titoli:
1) I Labirinti di Krarth 2) Il Regno di Wyrd 3) L’Artiglio del Demone 4) Viaggio all’Inferno 5) Le Mura di Spyte
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Inviata da: EGO il 16/3/2009 |
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Nel 1985 Dave Morris e Oliver Johnson pubblicano il loro personale gioco di ruolo, chiamato Dragon Warriors, in sei volumetti col formato tipico dei gamebook; l’opera, che non ha mai toccato le nostre sponde (avrebbe potuto far concorrenza a Uno Sguardo nel Buio?), è però ricordata con affetto dai giocatori inglesi. Il mondo di Dragon Warriors porta il nome di Legend, e nel 1987 i due autori decidono di ambientarvi una campagna organizzata con la nota struttura dei librogame. Il risultato è Blood Sword, l’assoluto capolavoro della coppia Morris-Johnson e una delle pietre d’angolo di questo genere editoriale.
I cinque giganteschi tomi di questa saga raccontano la storia di un Avventuriero, o di un gruppo di Avventurieri, investiti di una missione cruciale: ricostruire Blood Sword, la sacra Spada della Vita, per distruggere definitivamente i cinque Veri Maghi, potentissimi stregoni trasformatisi in stelle in seguito ad un cataclisma che distrusse la loro città, Spyte. La vicenda, molto lunga e dettagliata, da un lato mostra più da vicino aspetti e retroscena di vari territori di Legend finora lasciati nel vago; dall’altro permette agli autori di dare una forma giocabile ad un vastissimo repertorio culturale, fatto di miti, leggende, racconti, religioni provenienti dal patrimonio etnologico di importanti civiltà umane. Realtà e fantasia (o meglio, fantasy) si uniscono in un connubio meravigliosamente coerente, di grandissimo impatto, vergato tra l’altro con una bravura e un impegno che nel panorama dei librogame non si sono mai visti. La narrazione nei libri-gioco non ha mai eguagliato ciò che si trova in Blood Sword, e soltanto lo stesso Morris è riuscito a riavvicinarcisi.
Accennavo più sopra ad un gruppo di Avventurieri. Questa è in effetti la caratteristica più importante e innovativa di Blood Sword: le avventure sono fatte per essere giocate da un numero di partecipanti che va da uno a quattro, ognuno nei panni di un diverso tipo di personaggio: Guerriero, Ladro, Saggio e Stregone. Ognuno può essere affidato ad un giocatore diverso, oppure un unico lettore può decidere di guidare un party di Avventurieri. Ciascuno di essi ha ovviamente le sue prerogative: il Guerriero picchia più forte di tutti ed interviene nelle questioni di onore, ma non ha abilità particolari. Il Ladro (Trickster in originale) invece sa fare un po’ di tutto, con le mani e con la favella, è un discreto combattente e può tirare con l’arco; è l’Avventuriero più versatile, capace di trovare soluzioni insperate a situazioni anche molto difficili. Il Saggio è un erudito in grado di dare informazioni su luoghi e oggetti e di decifrare ogni scrittura; anche lui può tirare con l’arco, ed è capace di colpire i centri nervosi del nemico con la sua asta; può levitare, leggere nel pensiero, esorcizzare gli spiriti, e possiede una Vista Paranormale che vede oltre le apparenze. Lo Stregone, infine, è l’unico a poter usare la magia; oltre a fare gli incantesimi può richiamare i Faltyn (esseri fatati, spesso esosi e inaffidabili), predire il futuro prossimo e rivelare incantamenti altrui. Tutte queste abilità speciali possono essere chiamate in causa di fronte a un ostacolo: chi gioca deve decidere quale personaggio farà la sua mossa, e ad essa corrisponde un paragrafo “privato”, talvolta con informazioni che l’interessato non è tenuto a comunicare ai compagni! Giocare in squadra è il modo migliore per godersi Blood Sword, che tra l’altro sembra essere concepita proprio con questo tipo di interazione in mente: le possibilità sono enormemente più vaste che per un Avventuriero solitario, benché questo possa avvantaggiarsi di una maggiore forza. Difatti, maggiore è il numero di personaggi in gioco, più la loro forza individuale diminuisce per riequilibrare la sfida. Il potere di un Avventuriero è determinato dalla sua Classe, che aumenta a fine avventura grazie ai Punti Esperienza guadagnati; essi sono distribuiti in modo che un personaggio reduce da un volume della saga sia della stessa Classe di uno creato ex-novo nel volume successivo, a ulteriore dimostrazione della volontà di equilibrare il gioco.
Altro elemento distintivo di Blood Sword è il regolamento, molto più complesso che negli altri librogame e molto più vicino a quello di un gioco di ruolo vero e proprio (anche se non è lo stesso di Dragon Warriors). Abbiamo visto le Classi, i Punti Esperienza e le abilità speciali: ci sono poi le caratteristiche, ben cinque per ogni personaggio (Combattività, Intelligenza, Energia Mentale, Energia Vitale, Danno): tutte possono essere soggette a premi e penalità, e alcune sono interessate da varie prove a loro carico. Tutte sono anche coinvolte nei combattimenti, anch’essi eventi particolari in quanto rappresentati fisicamente dal disegno di una griglia indicante le posizioni di Avventurieri e nemici! Su questa griglia è possibile muoversi, agire o fuggire; la gestione delle battaglie è comunque relativamente semplice, a parte quando ci sono molti nemici. I duelli però rappresentano un possibile punto debole della serie, perché sono soggetti al capriccio del giocatore che può muovere e far agire i nemici secondo il suo interesse (tipico è mettere qualcuno a difendersi dagli attacchi mentre gli altri accerchiano e colpiscono il nemico, con lo Stregone che sta in disparte a lanciare incantesimi indisturbato); ciò però è inevitabile, e del resto è un modo per non complicare troppo le cose e rendere più fattibili degli scontri magari troppo ostici per dei personaggi deboli. L’alternativa è far controllare i nemici da un altro giocatore, ma qui forse si esagera.
Come dicevo poc’anzi, la struttura delle avventure è evidentemente atta a favorire il gioco di una squadra completa. Esiste infatti, in ogni volume, un percorso ideale: non proprio un true path alla Ian Livingstone, ma uno che comunque permette di ottenere il massimo guadagno col minimo rischio. Spesso il minimo rischio implica il ricorso ad una delle abilità speciali di un Avventuriero (Ladro su tutti; segue il Saggio, meno utile lo Stregone, e il Guerriero quasi sempre addetto al sipario), oppure l’utilizzo di uno dei tanti oggetti da usare nel posto giusto al momento giusto; semplici motivi di ingombro rendono quasi impossibili alcune avventure ad un personaggio solo soletto, come ben dimostra il secondo libro della serie. La maggiore potenza di un party più ristretto non compensa realmente il vuoto lasciato dalle abilità mancanti, e sono del parere che giocare con meno del massimo degli Avventurieri disponibili sia una grossa limitazione all’eccellente esperienza di gioco che questa collana offre. L’altra faccia della medaglia è che la perdita di un personaggio equivale praticamente ad una disfatta totale, se si ha intenzione di giocare tutti i cinque libri di seguito; in questo caso, comunque, l’esperienza insegna come in un qualsiasi altro librogame, e più che in qualsiasi altro librogame, ricominciare significa avere nuove possibilità da esplorare. Nel complesso, a parte episodi isolati, credo che si possa dire che Blood Sword è una serie ben equilibrata, dove ogni apparente eccesso è in realtà calcolato, tarato su un preciso approccio al gioco che va scoperto di volta in volta.
Per me l’unico giudizio possibile per questa saga è il massimo, anzi superiore al massimo: considero Blood Sword la miglior serie di librogame che ci sia. Non ne esiste un’altra così poderosa e così interessante sotto il profilo del gioco, nessun’altra così coinvolgente e affascinante come pura e semplice lettura. Anche l’aspetto grafico riserva gioie plurime, affidato allo stile barocco e fastoso di tanto artista qual è Russ Nicholson. Ciò non vuol dire che Blood Sword sia perfetta, perché praticamente nessun librogame lo è, men che meno lo è mai stata una serie di librogame intimamente legati l’uno all’altro da varie meccaniche ludiche: un apprezzamento universale nei suoi confronti non è immaginabile. Ma la quantità di materiale raccolto, e la cura con cui è stato impiegato, non hanno assolutamente rivali nel settore. Blood Sword è per molti versi un prodotto rivoluzionario, a volte persino controcorrente (infatti non ha venduto milioni di copie ed è oggi di scarsa reperibilità in lingua originale), forse il vero anello di congiunzione tra il racconto e il gioco, ricco di implicazioni, riflessioni e spunti che un videogioco di analoga ispirazione non riuscirebbe mai a offrire in modo coerente e accettabile, e a cui un gioco di ruolo da tavolo non ambisce. Semplicemente il massimo.
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