Ian Page (testo), Joe Dever e Gary Chalk (ideazione)
Nel fantastico Mondo degli Astri, dove tutto è possibile e le leggi naturali sembrano sconvolte, ti attende la leggendaria Pietra della Luna. Al tuo fianco c’è Tanith, la fanciulla dolce e misteriosa dai verdi occhi selvaggi; contro di te si muovono molte inquietanti presenze... Dovrai evitare le mille insidie che la potenza del re negromante dispiegherò sul tuo cammino. Ad ogni passo metti in gioco la tua vita e il successo della tua missione, ad ogni pagina ti attende una scelta che può rivelarsi fatale.
Il terzo volume delle avventure di Oberon è molto particolare sotto più aspetti. Tanto per cominciare, è un momento importante nello sviluppo dell'universo ideato da Joe Dever. L'avventura è interamente ambientata nel Mondo degli Astri, ovvero quel Daziarn che Lupo Solitario visiterà soltanto molto tempo dopo, e di cui vedrà una porzione del tutto diversa. E' infatti nella saga di Oberon che vediamo nella sua interezza la natura del Daziarn: una dimensione alternativa a quella del Magnamund, composta da più mondi collegati tra loro da passaggi attraversabili solo per mezzo di poteri o tecnologie speciali, e ognuno diverso dagli altri. Il giovane mago Shanti accede al Daziarn nel Mondo di Mai, e da qui deve viaggiare in molti altri mondi per ritrovare l'oggetto della sua ricerca, la Pietra della Luna. La prima parte dell'avventura è la più interessante e anche la più complessa: per riflettere la natura illusoria e mutevole del Mondo di Mai, infatti, Ian Page decide di inserire numerosi piccoli enigmi, invero di facile risoluzione, ma dalle conseguenze disastrose se non li si capisce al primo tentativo. Si tratta probabilmente della parte più insidiosa delle avventure di Oberon: i Poteri Magici non servono praticamente a niente, tutto si basa sulla capacità del lettore di interpretare gli indizi che gli vengono forniti. Sbagliare significa quasi sempre morire, o istantaneamente o in combattimenti praticamente invincibili. In effetti, i paragrafi di morte in questa parte del libro sono tanto numerosi quanto pittoreschi.
Un'altra peculiarità di questo volume è appunto l'enorme variabilità del livello di difficoltà in relazione alle scelte del giocatore. Di base, il libro è facilissimo: l'unico modo per complicarsi la vita è farlo apposta, compiendo scelte sbagliate di fronte a bivi dove la soluzione è sempre decisamente facile, almeno per il lettore che abbia almeno dodici anni. Anche in questo caso, poi, se si è capita la filosofia alla base delle avventure di Oberon si riesce ad andare avanti senza affrontare praticamente nessun combattimento in tutto il libro, e tra tutti i volumi della saga Il Cancello dell'Ombra è quello che meno attenta alle riserve di Volontà e Resistenza del personaggio, in totale opposizione ai primi due.
Terzo elemento distintivo del libro è l'atmosfera decisamente onirica che lo pervade. La varietà di ambientazioni che si incontra, e la successione con cui le si affronta, ricorda molto l'ultima avventura del Grande Maestro Ramas, L'Ira di Naar. Ma questa volta manca quell'angosciosità che pervadeva i primi due volumi di Oberon: qui la sensazione costante è quella di smarrimento, di incertezza, di mancanza di punti di riferimento. Non a caso, di fronte ad un problema esistono sempre due strade ben diverse per risolverlo: apro la porta o scalo la parete? Mi dimostro amichevole o ammazzo tutti? Accetto l'invito del Signore del Caos o lo rifiuto? Qualsiasi cosa si scelga, è possibile arrivare dove si deve, come sempre con più o meno difficoltà. L'unica scelta che pone davvero un'alternativa è quella finale: sfortunatamente, una scelta che mi dà come opzione il paragrafo 350 ben difficilmente può essere considerata ardua.
Quello che rende memorabile Il Cancello dell'Ombra è quindi la parte descrittiva. Grazie anche ad un miglioramento delle capacità letterarie di Page, luoghi, creature ed eventi del libro riescono sempre a distinguersi. L'iniziale mare di nuvole, la Torre di Cristallo, la Città Sonora sono località suggestive quanto Azagad e Guanima; in quanto ai personaggi e ai mostri che si incontrano, c'è solo l'imbarazzo della scelta visto che ognuno ha carisma da vendere, ed è sempre straordinaria la loro incisività in una serie che, per esigenze di brevità, può dedicare ad ognuno solo uno spazio molto limitato. Come poi accadrà durante la visita al Daziarn nei panni di Lupo Solitatio, comunque, è probabilmente la malvagità del Signore del Caos a lasciare il segno nella memoria del lettore con la storia di Onamun, l'ennesima vittima degli inganni del dio del caos.
Purtroppo, come abbiamo visto, il valore ludico del libro è abbastanza scarso. I Poteri Magici non servono praticamente a nulla: tutto quello che non si può evitare facendo scelte pacifiche si risolve con un lampo dell'Asta Magica. Ci sono potenzialmente vari combattimenti, ma il lettore un po' accorto li eviterà tutti senza venire a sapere che esistono. A meno di volersi complicare la vita a forza, quindi, Il Cancello dell'Ombra, come librogame, è noiosetto. L'interesse viene mantenuto alto solo dalla parte descrittiva, che questa volta salva letteralmente il libro.
Titolo originale: Beyond the Nightmare Gate Autori: Ian Page (testo), Joe Dever e Gary Chalk (ideazione) Anno: 1985 Illustrazioni: Paul Bonner Traduzione italiana: Erica Bundi (1987)
Accidenti, avevo cantato vittoria troppo presto. Ne Il Cancello dell’Ombra la serie commette il proverbiale passo falso, presentando un’ambientazione priva di fascino ed un impianto di gioco asfissiante che non concede la minima disattenzione al giocatore, oltre a torturarlo con tranelli idioti e gratuiti. La cosa curiosa è che in questo capitolo non si perde quasi nessun punto di Resistenza; morire sì, quello lo si può fare in mille modi diversi.
Oberon ha ritrovato Tanith e l’ha salvata dal Krimmer. I due hanno varcato il Cancello dell’Ombra e si trovano in una dimensione parallela, fatta di visioni evanescenti, personaggi insondabili e, naturalmente, trappole micidiali. Le danze si aprono con la ricerca di un accesso alla Torre di Cristallo, che può avvenire secondo due percorsi: uno improbabile con tre check vita/morte (ottieni 4 o meno e sei spacciato), l’altro che richiede la risoluzione di alcuni enigmi non difficili, a patto di non cadere vittima di una scelta sfortunata o di qualche altra insidia situata nei dintorni della Torre stessa. È piuttosto imbarazzante il numero di paragrafi impiegato per così poche scene, in cui si gira oziosamente nei stessi luoghi ed attorno alle solite alternative mortali. Si prosegue con l’Etetron, vascello dimensionale ideato dagli Accademici ma che Oberon fa una bella fatica a pilotare (e così il giocatore). La prossima tappa è la Città Sonora dei Seleni, che non vogliono altro che liberarsi della gemma che Oberon è venuto a rubare, eppure il mago non è convinto e subodora un imbroglio. Nel frattempo, un mago vestito di nero si reca dagli Accademici e si porta via Tanith, che per inciso era stata tenuta in ostaggio da quei parrucconi buoni a nulla.
Chi è costui? È il Giaksa, l’alter ego malvagio di Oberon inviato da Shazarak per funestare le sue imprese extradimensionali. Recuperata la compagna nel Reame del Paradosso, dove deve contrattare nientemeno che col Signore del Caos, Oberon prosegue la ricerca fino al Trianon, la costruzione Shanti dove è ospitata la Pietra della Luna. Il Giaksa continua a mettergli i bastoni tra le ruote ed è uno sforzo apprezzabile, perché se non ci fosse lui la missione sarebbe una noia mortale. Non c’è nulla di interessante nel leggere descrizioni di vuoti infiniti, visioni inconcepibili, spirali di energia, villaggi distorti, buchi nel cielo, nuvole a perdita d’occhio... sinceramente mi stupisce che Ian Page avesse creduto che tutto ciò potesse strappare qualche applauso.
Sarà che ho sempre odiato il viaggio dimensionale, soprattutto quando acquista un sapore onirico e sfuggente come in questo caso. Joe Dever si è ben guardato dal rendere astratto ed impalpabile il Daziarn in Lupo Solitario, forse memore del risultato ottenuto nel terzo capitolo di Oberon. I Prigionieri del Tempo ha un sapore concreto, pur possedendo le caratteristiche dell’avventura extraplanare. Il lavoro di Page non è del tutto disprezzabile. Per esempio il suo Signore del Caos è identico solo nell’aspetto a quello di Dever: è un’entità estrosa e beffarda, in fondo più originale del rullo compressore che si trova davanti il Maestro Ramas. Dal canto suo pure il Giaksa è un antagonista memorabile e la sua comparsa risolleva le sorti di un librogame altrimenti destinato al completo fallimento.
C’è poco da fare in quest’avventura. Molti Poteri non vengono mai chiamati in causa e gli altri sono spesso deleteri, per cui è quasi meglio non usarli e basta (vedi la Psicomanzia). È tutto basato sulle scelte a fine paragrafo, solo di rado associabili all’effetto che producono. Il colmo lo si raggiunge al paragrafo 135, in cui si pilota l’Etetron in picchiata; 4 scelte su 5 sono mortali e sfido chiunque a scegliere quella giusta basandosi sulle indicazioni degli Accademici. Bah. A peggiorare il tutto ci si mette pure Paul Bonner, che dopo aver realizzato una copertina stratosferica mette assieme svogliatamente un po’ di illustrazioni, la maggior parte delle quali non raffigura niente che meriti di essere rappresentato.
Ho trovato pochi pregi in questo librogame, se non la scrittura più che decente. Però non bastano le belle parole: ci vuole la sostanza dei fatti e dei personaggi, ci vuole un’applicazione appropriata delle regole ed una molteplicità di opzioni valide, almeno per dire che il mondo è bello perché è vario. Temo che nelle altre dimensioni non valga questo modo di dire, perché ne Il Cancello dell’Ombra il bellissimo mondo di Oberon svanisce nella monotonia di un grigiore senza fine, dal quale non si vede l’ora di emergere.
Ambientazione: 5 Stile di scrittura: 7 Bilanciamento: 6 Interattività: 5 Aspetto grafico: 6