| Categoria: Librogame E.L. - Singoli Libri Alla Corte di Re Artù
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Titolo: 06 - Il Regno del Caos | Valutazione: 4.67 Letture:4326 | J.H. Brennan | A Camelot, nella lontana Avalon, dove il potente Re Artù tiene la sua corte, è successo qualcosa di preoccupante. Una strana Maledizione si è abbattuta sul paese, devastando i campi, dissecando le sorgenti, facendo morire il bestiame: anche l’oro arrugginisce, e il castello stesso è ricoperto da una muffa impenetrabile. In questo scenario di morte e desolazione, solo tu puoi risolvere il mistero e riportare nel Regno di Avalon la pace e la tranquillità. |
Valutazione media:
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(1)
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Data pubblicazione 22/2/2007
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Inviata da: EGO il 24/5/2007 |
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Valutazione generale:
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4
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Forse doveva capitare, anche se ne avremmo fatto volentieri a meno. Dopo tre libri di levatura superiore, J.H. Brennan precipita dall’Olimpo del librogame con un volume che presenta un ottimo spunto, ma una realizzazione assolutamente becera che lo rende ingiocabile, o per lo meno non terminabile. E i problemi non stanno solo nel gioco: Il Regno del Caos è anche lento, banale, del tutto privo di mordente, e peggio ancora cerca di riscattarsi tentando di strappare la risata facile con battute improvvise e senza senso.
Eppure promette bene. Camelot è stata colpita da una maledizione che fa marcire gli oggetti, ammuffire l’oro, impazzire la gente; lo stesso castello è stato inglobato da una specie di fungo gigante. Bisogna scoprire chi è stato, e possibilmente farlo smettere subito. Si assiste quindi all’inizio più soporoso della serie: il villaggio di Glastonbury. Qui si deve cercare un indizio per proseguire; lo si può trovare in più modi, ma solo uno è semplice; tutti gli altri hanno un potenziale “quattordicigeno” spaventoso, che indispone facilmente un lettore che già non si sta divertendo per niente, nemmeno se gli capita di doversi risolvere un enigma con annessa figura ritagliabile. Usciti dal villaggio si incappa, in serie, in due labirinti sotterranei, non spaventosamente complessi ma pieni di punizioni gratuite, di combattimenti infami (il Coniglio Vorpal è una macchina da guerra seconda solo alla Mano Rugosa di Satana de Il Conte Dracula) e di enigmi incomprensibili (sarò grato a chi mi dirà come scoprire il numero che apre il lucchetto della Vergine di Ferro). Tutto questo strazio serve semplicemente a recuperare un oggetto senza il quale verremmo massacrati senza possibilità di appello da un mostro indistruttibile, che sta a guardia dell’ingresso al Regno del Caos (come poi ci si entri, nel Regno, è un altro artifizio che l’autore non si degna di spiegarci, ma solo di descriverci in termini piuttosto onirici).
Ed eccoci nel Regno del Caos, l’incubo peggiore mai partorito da Brennan. Il Regno consiste in una serie di sfere collegate tra loro da sentieri. Ogni sfera contiene un ambiente e delle creature diverse; otto di esse corrispondono ciascuna ad un risultato dei dadi, per cui tirando 2 si finisce nella sfera A, tirando 3 nella B, e così via. Se si tira 6, 9 o 12 si diventa Esploratore di Sentieri, che non vuol dire diventare esperti della nota soap opera, ma acquisire la possibilità, per due volte consecutive, di seguire un sentiero a scelta per uscire dalla sfera attuale, invece di affidarsi al lancio dei dadi. Potrebbe essere interessante; dove starà mai il problema? Il problema sta nel fatto che, secondo Brennan, ogni volta che si torna in una sfera è come se non ci si fosse mai stati. Questo vorrebbe dire che io dovrei affrontare più e più volte un mostro da 80 Punti di Vita che mi uccide con un 12; un vecchio contro cui muoio se tiro 5 o 7, perché cado in un abisso (di sfere come questa ce ne sono due); un mostro da 55 PV che si moltiplica se lo manco tre volte di fila; un altro mostro che ha solo 33 PV, ma che va affrontato a mani nude e che è in grado di ucciderti molto prima di poterlo ridurre a metà della sua energia; e altre amenità.
Ma non può essere impossibile, mi direte. Al che io vi dico che in tutto il libro (tutto, ma tutto tutto) ci sono solo due (due) posti in cui trovare Pozioni Risananti, ed entrambi si trovano prima di entrare nel Regno. I Punti di Vita si prosciugano in fretta; le Pozioni finiscono altrettanto in fretta; se si finisce al 14 si può ricominciare dall’inizio del Regno… nel quale non c’è una Pozione a pagarla. Ma in compenso i mostri risuscitano di continuo. E non c’è magia, perché la Maledizione impedisce di usarla… L’unico modo per finire in fretta e onestamente l’avventura sarebbe finire in una certa sfera, diventare Esploratore e andare a prendere un certo oggetto, ritornare alla sfera, ridiventare Esploratore e andare in direzione diametralmente opposta a prendere un altro oggetto, poi tirare il numero che ci porta in un’altra sfera, diventare Esploratore e dirigersi alla sfera finale. Non so quante persone possano ottenere dai dadi i risultati giusti per una simile sequenza senza dover combattere decine di volte con gli stessi mostri; mi vengono in mente giusto Uri Geller, Gastone Paperone e Sai Baba. E nella sfera finale cosa ci aspetta? Sette (sette) avversari in fila, dopodichè lo scontro finale con un nemico che ad ogni tiro di 6 o più spara una sfera infuocata infallibile che toglie 6 Punti di Vita, e 12 se non si possiede l’elmo protettivo! E questo nemico ha 55 Punti di Vita! E durante una battaglia non ci si può risanare, nemmeno avendo le Pozioni! Come cavolo dovrei finirlo, questo libro? Anche glissando sulla regola che vorrebbe far risorgere i nemici uccisi nelle sfere (condizione, come abbiamo visto, più che necessaria se si vuole arrivare anche solo vicino alla fine), lo scontro finale è comunque impari.
Infine devo per forza parlare del disastro assoluto compiuto da Laura Pelaschiar in fase di traduzione. A differenza dell’eccelso quinto volume, qui la traduzione è strettamente letterale, con risultati imbarazzanti (paragrafo 137: “that puts me out of the picture” diventa “e con questo, io sono fuori dalla vignetta”) o addirittura deleteri. Per anni mi sono chiesto come risolvere due enigmi per cui c’è da tirare una tra tre leve, e secondo il testo “tirando la leva giusta si uniranno le due parole sottostanti”. Bene, qualcuno mi spieghi come fa un italiano a trovare una connessione logica tra le opzioni “destra/sinistra/centro” e gli accostamenti di parole:
MORTO (…) AVANTI e NESSUNO (…) FUORI
La soluzione è “Dead straight forward” e “None left out”, ma vallo a ricavare da questa traduzione pedante/pedestre… E poi chissà, magari il nome della Vergine di Ferro, Freda, potrebbe (potrebbe) contenere un indizio per trovare il numero che la apre: ma se fosse davvero così, il nome italiano di Pizzichina non mi aiuterebbe per nulla.
Un’ultima beffa? Be’, per esempio il fatto che un habituè della serie potrebbe saltare a piè pari il paragrafo dove Merlino spiega le regole ai nuovi arrivati… e dove ci viene detto che, dopo due avventure passate senza, possiamo di nuovo indossare la giubba di pelle di drago, che almeno qualche piccola chance in più la offrirebbe.
Davvero, non so come si potrebbe salvare questo libro. E’ noioso e impossibile, e anche barando per compensare le assurde condizioni imposte si viene comunque fregati dalla pessima traduzione e dall’allucinante battaglia finale. E’ inspiegabile, dopo tre capolavori, ma c’è, c’è scritto sopra “Alla Corte di Re Artù”, ed è scritto da Brennan. E non ho voglia di scomodare l’autore per chiedergli una spiegazione; mi limito a segnalare questo libro come il peggiore della serie, senza ma e senza forse.
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Inviata da: Gurgaz il 10/5/2008 |
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Valutazione generale:
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4
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Titolo originale: Realm of Chaos Autore: John Herbie Brennan Anno: 1986 Illustrazioni: John Higgins Traduzione italiana: Laura Pelaschiar Mc Court (1990)
Giocare questo librogame a quasi vent’anni dalla pubblicazione rivela molte cose. La scarsità di ricordi precisi suggerisce un testo blando, privo di momenti topici e senza emozioni imperdibili. Ed è proprio così che appare Il Regno del Caos oggi. Nonostante non lo ricordassi come un librogame difficile, debbo constatare che è addirittura impossibile, perciò da bambino devo aver barato nella maniera più vergognosa. Ora non ho difficoltà a classificare il sesto volume come l’unico veramente scadente di Alla Corte di Re Artù, principalmente perché Brennan ha tentato di riesumare le follie concepite nella serie Fire*Wolf.
L’anziano consigliere di Artù accoglie Pip in braghe di tela, gli mostra la sua nuova casa a forma di botte e gli illustra la grave situazione che ha motivato la nuova convocazione. Avalon è stata colpita da una spaventosa maledizione: il castello di Camelot è stato fagocitato da una massa fungoide, il villaggio di Glastonbury sembra una città fantasma e la tunica di Merlino è marcita mentre era stesa al sole (per fortuna il cappello si è salvato, altrimenti non avrebbe potuto lanciare l’Incantesimo-Rete). Si sospetta che la Maledizione sia opera di un certo Mago Kran, figura indecifrabile che nemmeno Merlino è riuscito ad identificare. Comunque Pip ha risolto problemi peggiori di questo e non c’è dubbio che porterà a termine l’impresa armato solo di E.J. e del suo coraggio. Proprio così, niente incantesimi od oggetti magici in dotazione; Merlino ci fa scegliere da una lista solo sei oggetti comuni (uno è indispensabile, ma vattelapesca) e, se rileggiamo le regole che dovremmo già sapere, ci consente di indossare nuovamente la giubba di pelle di drago (altrimenti nisba).
La prima parte dell’avventura non richiede nessun equipaggiamento particolare. Esplorare Glastonbury è una noia pazzesca, dato il gran numero di location deserte ed inutili. In compenso alcune riservano subdoli tranelli come non se ne vedevano dai tempi di Stonemarten. Di riffa o di raffa si viene indirizzati verso una caverna oscura, che ospita un sotterraneo ancor più vuoto ed triste del villaggio. Ci sono delle stanze abbastanza carine (la sala di tortura e il corridoio delle sei celle), tuttavia sono situate in biforcazioni che si possono anche ignorare. La parte finale del sotterraneo contiene sicuramente un errore, perché da un certo punto in poi non si può più tornare indietro. Oltretutto, per la prima volta in Alla Corte di Re Artù, si può perdere un passaggio vitale per la trama, cioè l’incontro con il mago Kran e la scoperta delle vere origini della Maledizione. Altrettanto pazzesco è perdere senza appello l’incontro con il Demone Poetico, racchiuso in una Vergine di Ferro dalla combinazione misteriosa. Laura Pelaschiar ha pensato cambiare il nome della vergine, Freda, nel più simpatico “Pizzichina”, rendendo impossibile la soluzione dell’enigma. Sono stati accertati altri due errori di questo tipo.
Dopo aver risolto il tedioso labirinto ed esplorato le ancor più evanescenti rovine di Camelot, Pip è in possesso del magnifico Scudo Riflettente di Uther Pendragon, l’unica protezione efficace contro il Grande Wyrm Guardiano della Collina del Tempio. Sulla sommità della collina Pip opera un’involontaria “proiezione astrale”, ossia assume forma eterea per accedere ad una dimensione parallela (ancora!) in cui l’avventura prosegue normalmente. Tutto ciò che deve fare è trovare l’Officina delle Maledizioni ed eliminare i suoi occupanti, poi può ritornare a Camelot in trionfo. Facile, no?
Il Pianeta Astrale è un posto poco raccomandabile, dove un avventuriero non sopravvive per più di 5 o 6 paragrafi. È costituito da sfere lucenti, ciascuna delle quali contenente insidie in grado di polverizzare personaggi muniti di potenti oggetti magici. Il bello è che questa avventura non offre nulla di tutto ciò: le Pozioni Risananti sono una rarità e le armi magiche sono roulette russe tascabili, ad esempio la Gemma dell’Orrore che può uccidere un nemico se si tira 5 o 6 con un dado (gli altri punteggi spediscono al 14) o un’altra gemma che evoca un tremendo Dragone Verde, che può sia lottare a fianco di Pip sia dare man forte al nemico con ovvie conseguenze (sono sempre i dadi a decidere). Le sfere contengono mostri rari e micidiali, oppure situazioni ad altissimo tasso di letalità; il bello è che superare gli ostacoli è squisitamente inutile, tanto al prossimo passaggio la sfera ed i suoi occupanti sono nuovamente lì ad attendere Pip, come se nulla fosse successo.
Già così è impossibile, ma per Brennan non bastava. Nel Pianeta Astrale non ci si muove in libertà, bensì è richiesto di affidarsi, guarda un po’, ai dadi. A seconda del punteggio una tabella invia alla sfera di destinazione, eccetto quando si ottiene 6, 9 o 12. In tal caso si è insigniti dell’augusto titolo di Esploratore di Sentieri, che non è permanente (figuriamoci, troppo facile!) ma dura solo per due trasferimenti tra sfere. L’abilità permette di non tirare il dado per muoversi e di scegliere una delle uscite dalla sfera attuale; in tal modo si raggiungono sfere normalmente precluse e si può, in teoria, racimolare i due oggetti necessari a finire il gioco: l’Elmo del Pazzo e l’Amuleto di Sarabanda. Dico in teoria perché un Esploratore di Sentieri deve comunque attenersi ai rigidi percorsi del Pianeta Astrale e non ha quasi mai il tempo di dirigersi esattamente dove vuole andare.
Nell’Officina delle Maledizioni sono in agguato le Sette Sorelline (do re mi fa sol la si), un gruppo di bambine demoniache che attaccano tutte insieme (qui un Dragone Verde non guasta, sempre che combatta per Pip!). Superato questo asilo infernale si incontra il vero artefice della Maledizione, il porcino fantasma Grunweazel (Dum da dum dum!), che per chi non ha incontrato il Mago Kran è un illustre sconosciuto. Senza l’Elmo del Pazzo la vittoria è pura utopia ed in ogni caso non è scontata. Il degno boss finale di un’avventura completamente fuori scala.
Questo libro puzza di Fire*Wolf lontano un miglio. Brennan ha ideato una trama generale dalle ottime premesse, ma un secco calo di ispirazione non gli ha permesso di riempire gli spazi con del buon materiale. Da un lato appaiono mappe desolate, situazioni banali e battute sottotono; dall’altro c’è l’abuso dei dadi ed una spiccata tendenza all’eccesso, in perfetta sintonia con la proposta di Fire*Wolf. Forse non è casuale che Pip ad un certo punto trovi dei librogame che parlano di un idiota di nome Lupo di Fuoco, così come non è casuale che la traduzione sia tra le peggiori mai offerte, visto che è affidata a Laura Pelaschiar. Il recupero della matrice di Fire*Wolf, la carenza di spunti e l’ennesimo avvicendamento tra traduttori rendono il sesto volume un’autentica delusione; è brutto, noioso, zeppo di errori, impossibile da giocare e per giunta corredato da illustrazioni dozzinali. È sorprendente che la serie non abbia ricevuto una sonora battuta d’arresto dopo una simile pubblicazione. Per fortuna l’autore aveva ancora cartucce da sparare e lo ha dimostrato con La Tomba degli Incubi.
Ambientazione: 6 Stile di scrittura: 6 Bilanciamento: 3 Interattività: 5 Aspetto grafico: 6
Voto complessivo: 4 Difficoltà: impossibile
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Inviata da: andreONE il 5/2/2012 |
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Valutazione generale:
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6
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Cosa devo dire di questo libro? Cominciamo dalla storia: il nostro eroe, viene accolto da un Merlino in brache di tela...si avete capito bene, in brache di tela. Il nostro mentore, ci spieghera' che su Camelot e' scesa una maledizione. Tale iattura, fa arrugginire l'oro, impazzire le persone e altro, insomma una brutta faccenda. Sembra che ci sia un colpevole, ma stavolta Merlino non ha la minima idea di chi sia e dove sia! Bisognera' esplorare, il villaggio e il castello per venire a capo di questo mistero, ma una volta chiarito il mistero, il nostro eroe, dovra' entrare in un' altra dimensione (no, non lo Spettrale Regno dei Morti). La storia di per se, non e' male, ma manca qualcosa... Gli spunti umoristici ci sono ma non sono al solito livello a cui ci aveva abituato l' autore. Poi la parte dopo il castello decade, non ha ritmo, e' quasi noiosa. I combattimenti sono alquanto tosti, alcuni quasi proibitivi, se non hai gli oggetti richiesti muori... Bah! Segnalo ancora il peggioramento dell'illustratore, solo alcune tavole sono belle. Purtroppo questo e' il peggiore volume della collana, sia lo scrittore che il disegnatore avevano avuto un vistoso calo, dovuto a cosa? Io non lo so, penso che al periodo entrambi abbiano avuto una mole di lavoro non indifferente. Fortunatamente, questo e' il solo punto basso raggiunto dalla serie. Meno male...
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