Negli abissi della baia di Ghiaccio giacciono i Palantiri, le Pietre Veggenti che i Re degli Uomini crearono un tempo a sigillare sacre alleanze contro le forze del Male che minacciavano i loro Regni. Ora questa minaccia rivive nelle spoglie del Signore Tenebroso. Se i millenari manufatti magici finissero nelle sue mani sarebbe la fine di tutta la Terra di Mezzo...
TITOLO: Alla Ricerca del Palantìr TITOLO ORIGINALE: Search for the Palantìr AUTORE: Milt Creighton ANNO: 1989
Una grave minaccia incombe sulla Terra di Mezzo: nelle remote regioni del Nord una oscura minaccia sembra essersi risvegliata dopo centinaia di anni di oblio. I Lossoth hanno ripreso alcuni antichi riti, e tutto fa pensare che alcuni dei Palantìri, le Pietre Veggenti create in tempi remotissimi, siano stati rinvenuti. Aragorn e Gandalf hanno deciso di convocare un consiglio segreto, e di affidare una delicatissima missione ai suoi membri: recarsi nel Forochel e riconsegnare le Pietre Veggenti alla loro tomba d'acqua nel Mare di Ghiaccio. Ma chi avrà il coraggio di accettare la pericolosa sfida?
Il lato assolutamente positivo di questo quarto librogame della serie è la possibilità di scegliere fra ben cinque personaggi precostituiti, oltre ovviamente alla solita opzione "crea il tuo personaggio". Il meccanismo è abbastanza carino, ma in fin dei conti scade nella banalità perché si scontra con uno dei due clamorosi difetti del volume: l'interattività è scarsissima, le variabili in gioco sono pochissime, e la scelta di un personaggio piuttosto che l'altro non comporta variazioni clamorose all'avventura.
La scelta iniziale sul percorso da seguire per giungere nel Forochel si rivela fondamentale almeno per i giocatori che intendano seguire il Sistema Avanzato, poiché, forse a causa di un semplice bug (ecco quindi il secondo grosso difetto del volume), uno dei due percorsi non permette in ogni caso di giungere in tempo a destinazione.
Per quanto riguarda il resto, l'avventura prosegue con ritmo abbastanza lento. Creighton si concentra molto di più su una prosa evocativa e fedele all'ambientazione tolkieniana piuttosto che sull'aspetto ludico della sua opera, e questo dato può senza dubbio scoraggiare chi nei librigame cerca soprattutto adrenalina e interattività allo stato puro, e fa invece apprezzare l'opera ai fan sfegatati del genio del fantasy: i paragrafi lunghi e descrittivi sono infatti di gran lunga la maggioranza.
In questo senso, quest'opera sembra collocarsi un po' a parte rispetto agli altri tre volumi della serie, e lo dimostra anche il fatto che gran parte delle opzioni del regolamento vengono quasi interamente accantonate, o quantomeno non vengono sfruttate appieno: i tiri di dado sono pochi, e quasi sempre abbordabili, specie se ci si presenta all'avventura con un personaggio carico dell'esperienza dei tre volumi precedenti; qui invece le occasioni di cogliere Punti di Esperienza sono scarsissime, e quasi tutte fuori dal "percorso preferenziale". La Magia non serve a nulla (ma questo è un difetto comune a tutti e quattro i volumi), i Combattimenti avvengono solo se si va a cercarseli.
Insomma, un'opera ambigua, difficile da collocare e valutare sia nel confronto con le altre opere della serie, sia nel panorama del librogame in generale. Consigliato comunque ai migliori fan della Terra di Mezzo.
STILE DI SCRITTURA: 9 AMBIENTAZIONE: 9 INTERATTIVITÀ: 4 BILANCIAMENTO: 4 ILLUSTRAZIONI: 4
Alla Ricerca Del Palantir è stato il primo librogame sulla Terra di Mezzo che ho giocato piu' di dieci anni fa. E voi vi domanderete, perchè hai iniziato dal numero 4??? Semplice, da Feltrinelli vi era rimasto solo il numero 4 e all' epoca tra Partita a Quattro e altri titoli che mi mancavano scelsi proprio questo.Invogliato dalla copertina, lo ammetto.....
Tra i titoli sulla terra di mezzo (ora li ho tutti!) usciti per la E.elle questo non è certo il migliore ma ha comunque un suo fascino. E rigiocarlo dopo tanto tempo me lo ha fatto apprezzare di piu'.
Nelle remote regioni del Nord una minaccia si è risvegliata dopo anni d'oblio. I Lossoth hanno ripreso alcuni antichi riti,e tutto fa pensare che alcuni dei Palantir (pietre della veggenza) siano stati rinvenuti. Aragorn e Galdalf convocano un consiglio per affidare una importantissima missione. Ovvero recarsi nel Forochel e riportare Le pietre alla tomba del mare di Ghiaccio. Semplice no? due passi e il gioco è fatto........ Siccome è "troppo semplice " girare per la terra di mezzo da soli, essere presi a bastonate ogni tanto ( ebbene si, non ci sono tanti combattimenti), ad rallegrarci abbiamo anche il fattore tempo. Entro un certo numero di giorni dovremo aver concluso la nostra missione.
Passiamo al sistema di gioco. Avremo la possibilità di scegliere tra personaggi pregenerati (e un paio di questi sono i migliori) oppure generarne uno come nei precedenti libri. Attenzione! perchè se generate un personaggio nuovo, la ripartizione dei punteggi è molto importante. Discorso diverso se avete fatto i precedenti tre libri. In tal caso avrete un discreto vantaggio. La magia è abbastanza inutile, quindi non sprecate bonus per aver tanti incantesimi. L' esperienza che si accumula in questa avventura ( rispetto ai precedenti volumi) non è tanta.
L' ambientazione è quella che ogni fan di Tolkien cerca,infatti, sembra di assistere piu' ad un romanzo che a un libro-game. L' aspetto interattivo-ludico non è ben bilanciato. Grafica soddisfacente anche se si poteva dare un qualcosa in piu' per arricchire ulteriormente il volume.
In conclusione segnalo un difetto. Per svolgere il nostro compito avremo due possibili percorsi,uno di terra e uno fluviale, con diversa difficoltà. Ebbene uno dei due percorsi è completamente sbagliato in quanto non permette, in nessun modo, di finire la missione nel tempo giusto. Grosso sbaglio dell' autore...... Librogame comunque carino.
Interattività (cioè quanto il LG sfrutta le potenzialità a sua disposizione): 7 Stile di scrittura (quanto l'autore sa coinvolgere per qualità letteraria): 8 Ambientazione (quanto l'autore sa coinvolgere per la ricchezza dei luoghi e dei fatti):9 Bilanciamento (equilibrio tra le regole e l'effettiva difficoltà): 4 Grafica: 7
Titolo originale: Search for the Palantír Autore: Milt Creighton Anno: 1989 Illustrazioni: Dan Carroll Copertina: Larry Elmore Traduzione italiana: Costanza Galbardi (1992)
Il quarto ed ultimo volume de La Terra di Mezzo è un caso a sé stante, completamente avulso dallo stile che finora ha contraddistinto la serie. Anzitutto, l’autore propone una storia di propria invenzione e ci trasporta in una zona e in un’epoca che Tolkien non ha raccontato nei dettagli. L’avventura si svolge nell’Eriador settentrionale e prende il via dalle Rovine di Annùminas, antica capitale del regno di Arthedain. Il saggio Gandalf convoca un gruppo di avventurieri per affidare loro una singolare missione: ritrovare i due Palantíri sprofondati nella Baia di Ghiaccio, che pare siano stati riportati alla luce, per nasconderli agli emissari dell’Oscuro Signore.
Gli avventurieri devono viaggiare da soli e non dare nell’occhio, perché lungo la strada ci sono già molti gruppi in cerca delle Pietre Veggenti. Non si tratta solo di Orchetti di Mordor, ma anche di Elfi Sindar di Lindon, il cui comportamento negli ultimi tempi non è stato fedele alle antiche alleanze. C’è la possibilità di scegliere ben cinque personaggi già realizzati, con relativo background, oppure di crearne/importarne uno proprio. Il guaio è che Alla ricerca del Palantír precede cronologicamente gli altri librogame della serie, perciò è un’assurdità tenere il personaggio già usato. È solo la più eclatante delle incongruenze generate in tutta la serie da questa opzione, offerta esplicitamente dal regolamento.
La trama e la scrittura sono di ottimo livello. Sono presenti lunghe parti di puro racconto, minuziose descrizioni, colpi di scena ed espedienti narrativi di tutto rispetto, come non se ne trovano spesso nei librogame. Milt Creighton propone un lungo viaggio, dove è possibile incontrare personaggi illustri come Cirdan il Carpentiere, oppure intrecciare il proprio destino con quello degli altri avventurieri in missione. Se si riesce a risalire il fiume Lhûn in tempo, si può proseguire la missione nel villaggio dei Lossoth, una popolazione nordica dalla cultura tribale. L’attenzione del protagonista viene attirata da un culto del tutto singolare, nato recentemente per opera di uno sciamano di nome Malkath. Pare che gli strani rituali siano legati alla ricomparsa dei Palantíri, ma il mistero da svelare è più intricato di quel che sembra.
Accidenti, quest’opera sarebbe un capolavoro, se non fosse completamente deludente dal punto di vista del gioco! Creighton è uno degli autori della serie Sherlock Holmes e questo si nota subito dall’interpretazione del regolamento. I combattimenti sono quasi inesistenti, eccetto un paio di scontri difficilissimi inseriti solo per punire scelte giudicate erronee. Il nucleo della parte ludica è costituito dai check obbligatori, che danno la sensazione di non avere sotto controllo il proprio destino. Un’altra eredità di Sherlock Holmes sono le Decisioni, i Risultati e gli Oggetti, anche se la loro presenza è incomprensibile perché sono pretestuosi e d’importanza marginale. La prima parte dell’avventura è soggetta al fattore Tempo, calcolato in giorni con gran sollievo del giocatore, finalmente libero dalla schiavitù della registrazione dei minuti. In molti hanno evidenziato che Creighton ha sbagliato i suoi conti, poiché uno dei percorsi non permette in ogni caso di arrivare in tempo al villaggio, con conseguente fallimento della missione.
Raggiunte le terre dei Lossoth, l’autore si è stancato di gestire il librogame, che diventa una lunghissima narrazione ripartita in paragrafi ed inframmezzata da qualche timido tiro di dadi. Sembra quasi un “racconto sotto mentite spoglie”, dove il lettore non può far altro che leggere i gradevoli brani ed effettuare un tiro quando richiesto, senza intraprendere scelte degne di tale nome. È un po’ poco, soprattutto per una serie che offre un sistema di gioco ampio ed evoluto. Resta il rammarico per la bellissima storia, che non si è saputo tramutare in un’avvincente impresa tutta da giocare. È il canto del cigno di una serie che non è mai decollata, incapace di usare consapevolmente il regolamento e di integrare l’eccellente ambientazione tolkieniana con una solida struttura di gioco.
Ambientazione: 8 Stile di scrittura: 9 Bilanciamento: 6 Interattività: 4 Aspetto grafico: 6
Bello spesso, l’ultimo volume di La Terra di Mezzo, soprattutto se comparato ai due che lo precedono. I motivi sono due. Il primo è che l’autore è Milt Creighton, già noto per un paio di volumi di Sherlock Holmes, scrittore decisamente più capace degli altri che hanno lavorato alla serie; il suo stile è eccellente, e il puro e semplice racconto da lui imbastito è sicuramente la cosa migliore che questo libro offra. Fin dall’introduzione i paragrafi che narrano passaggi obbligati della trama sono infinitamente più lunghi di quanto visto negli episodi passati, e finalmente il mondo tolkeniano viene messo in gioco in modo coerente e molto affascinante. Ci troviamo alle soglie della Guerra dell’Anello, e Gandalf in persona, affiancato da Aragorn, ci illustra la difficile missione: cercare i due Palantíri recentemente ritrovati dalla tribù dei Lossoth, e occultarli in modo che il Signore Oscuro non possa impadronirsene. Per affrontare l’avventura potremo scegliere chi impersonare tra ben sei personaggi di razze diverse, compreso uno già utilizzato nei primi libri (cosa cronologicamente impossibile, però), ed è questo l’altro motivo dello spessore del volume: ogni personaggio ha le sue opzioni e vicende personali, e durante il viaggio potrà interagire con gli altri. Ecco spiegato il maggior numero di paragrafi, ma ecco anche un motivo di fiacchezza del libro.
Sto parlando del fatto che in realtà la scelta del nostro alter ego ha meno conseguenze narrative di quanto si possa pensare: i paragrafi dedicati sono interessanti, ma comunque di contorno, e non scaturisce nessuna rivelazione significativa usando un personaggio piuttosto che un altro; anzi, a volte le differenze sono così infime che si poteva ben fare a meno di aggiungere paragrafi extra. A livello di gioco le conseguenze sono un po’ più consistenti, perché alcuni personaggi possono usufruire di bonus particolari o suscitare reazioni diverse negli individui che incontrano. In ogni caso, la storia prosegue comunque su binari ben definiti e non c’è alcun vero vantaggio nella scelta iniziale, per cui non si hanno grandi motivazioni per rigiocare il libro solo per vedere che cosa succede impersonando Tizio o Caio. Piuttosto si rischia di incappare in qualche errore clamoroso, come è successo a me che nella seconda partita ho scelto lo hobbit Galley Took e, a un certo punto, mi è venuto incontro nientemeno che… lo hobbit Galley Took! Non è stato facile scegliere se rifiutare o meno la sua compagnia.
Se non per i personaggi diversi, un motivo per giocare almeno due volte c’è comunque: la meta del viaggio può essere raggiunta viaggiando via terra o via fiume, e non c’è nessun collegamento tra le due strade. Quella via terra è molto più bella e contiene diversi momenti molto suggestivi, seppur facoltativi, ed è consigliata nonostante il suo grosso difetto: è impossibile completarla nel tempo previsto, un altro errore macroscopico nella stesura del libro. In questo caso è ovvio che chi gioca col sistema semplificato non incontrerà problemi, e del resto ho l’impressione che Alla ricerca del Palantír, unico nella serie, tenda proprio a suggerire di usare le regole di base: il tempo è misurato in giorni invece dei soliti minuti, i combattimenti vanno pressoché evitati a tutti i costi perché sono contro avversari forti o multipli che hanno a disposizione molti turni per farci fuori, le caratteristiche dei personaggi sono preimpostate in un modo che scoraggia la voglia di mettersi lì a calcolare i vari bonus e malus del caso per verificare se non ci sia qualche errore (e infatti c’è).
E del resto l’avventura è molto poco movimentata, e non avrebbe senso che fossero le regole a complicarla. A parte qualche semplice e occasionale tiro di dadi, c’è molto da leggere e poco da scegliere, e le scelte dal canto loro fanno poca differenza nel decidere gli eventi. Arrivati al villaggio dei Lossoth la situazione si trasforma improvvisamente in un corridoio alla Steve Jackson, dove bastano una decisione o un lancio sbagliato a condurci fuori pista e, dunque, alla sconfitta. Qui in effetti anche la storia, per il resto magnifica, si fa lenta e nebulosa nonostante la bella narrazione; in seguito si riprende e nel finale ci sarebbe quello che chiamerei un colpo di scena, perfino un climax, se ci fosse modo di parteciparvi attivamente; ma tutto scorre da sé, noi possiamo soltanto leggere, e la tensione si dissolve in un finale che lascia l’amaro in bocca.
Alla ricerca del Palantír, quindi, come dicevo all’inizio ha il suo punto forte nella storia, veramente ben pensata e ben scritta, dotata del fascino proprio dei racconti della Terra di Mezzo. Ma a che serve adattare così bene l’ambientazione, se poi si tralascia di adattare il regolamento di gioco? In questo caso serve a indorare la pillola di un librogame senza sostanza ludica, in cui il gioco sembra proprio inserito svogliatamente, se non addirittura scoraggiato! Va bene che l’autore doveva essere abituato a un tipo di gioco molto più posato e riflessivo, fondato sull’osservazione e il ragionamento più che sull’azione, ma offrire questo ventaglio di personaggi e di strade per poi ridurre il tutto a una lettura inframmezzata da qualche lancio di dadi si traduce nello spreco totale di ciò che il sistema di gioco della serie può offrire se ben sfruttato. Con questo non voglio dire che altri autori l’abbiano sfruttato bene, tutt’altro, ma Milt Creighton non l’ha sfruttato per niente e il suo lavoro è sufficiente solo perché riesce ad offrire qualche sorpresa e qualche piccola emozione in una collana che fin qui aveva fornito più che altro del materiale da utilizzare per un gioco molto più grande e complesso.
ERRATA CORRIGE 219: in un punto del paragrafo c’è scritto “Mulkath” invece di “Malkath”. 402: non è chiara la distinzione tra “scontro” e “combattimento”. Poiché al 210 è previsto che il capobranco possa essere ancora vivo, è probabile che il 402 implichi di tirare i dadi solo due volte. 437: il bonus di Forza di Imracar è chiaramente +1, e non +2.